Sarà che a Milano sono appena partiti gli scavi per il Villaggio olimpico, all’ex scalo ferroviario di Porta Romana; o forse sarà che di cantieri aperti – escluso quello meneghino – dalla Lombardia al Veneto, passando per il Trentino-Alto Adige, non ce ne sono. Sta di fatto che è servita la visita della delegazione del Cio – con Sari Essayah, presidente della Commissione di coordinamento, e Christophe Dubi, direttore sportivo – per svegliare dal torpore chi i Giochi invernali del 2026 dovrà – deve – organizzarli. E così Giovanni Malagò (Coni) e Andrea Varnier (fresco amministratore delegato di Fondazione Milano-Cortina) hanno fatto il punto della situazione sulle Olimpiadi di casa nostra. “Ci faremo trovare pronti” hanno detto entrambi, senza la minima esitazione. Ma nella conferenza stampa, convocata a Palazzo Marino, le parole più ricorrenti sono state “criticità”, “problemi” e “ritardi”.
LA “MARATONA CON UNO ZAINO PIENO DI PESI” – Che il cammino verso i Giochi del 2026 sia in salita non è un mistero. La già citata Fondazione, braccio operativo di tutti i lavori, è rimasta senza guida per tre mesi, finché il ministro dello Sport, Andrea Abodi, non ha affidato l’incarico a Varnier. Il Piano degli interventi, poi, è stato approvato solo a fine settembre, con un anno di ritardo rispetto a quanto previsto. In più – a proposito delle infrastrutture – la maggior parte delle opere è finita sotto il cappello delle “opere essenziali”, che si differenziano dalle “opere essenziali indifferibili”. Che cosa significa? Le seconde dovranno essere pronte necessariamente prima dell’inizio dei Giochi (esempi: i Villaggi olimpici, gli impianti a fune, le piste per le gare e via così); le prime, invece, possono essere completate anche dopo la manifestazione. Il problema, però, è che non esistono tempi certi.
Indicativo è stato l’intervento del padrone di casa, Beppe Sala. In un discorso durato due minuti (un saluto agli ospiti, in pratica) ha detto che “di fronte a qualsiasi problema suggerisco, a chi è impegnato in questo percorso, di chiedere aiuto. Speriamo di non avere problemi a Milano” ha aggiunto, “in ogni caso, i grandi eventi bisogna saperli fare. E non ha senso chiedersi se vadano o non vadano fatti”. Malagò, dal canto suo, ha esordito di fronte ai giornalisti e alle tv dicendo che “non possiamo dimenticare cosa è successo nei due anni appena trascorsi. Vi basti pensare che questo incontro (la tre giorni coi due membri del Cio, ndr) è stato il primo in presenza che facciamo. Ne abbiamo fatti a decine a distanza, ma non è la stessa cosa. In tre anni ho avuto a che fare con tre governi, poi c’è stato il Covid, la guerra, l’inflazione. È come fare una maratona con uno zaino pieno di pesi. Ma finalmente, con Varnier, il governo è a bordo. Con Varnier vediamo la luce in fondo al tunnel”.
IL RUOLO DEL GOVERNO: ADDIO “SOSTENIBILITÀ” – Il riferimento di Malagò è a quanto accaduto questa estate: il governo guidato da Mario Draghi ha scelto di entrare nella governance della Fondazione, dopo che gli enti locali avevano di fatto implorato l’inquilino di Palazzo Chigi di prendere in mano la situazione (e di mettere mano al “portafogli” dei soldi pubblici). Ed ecco così che le Olimpiadi “a costo zero” e “dell’autonomia” – com’erano state vendute all’inizio – sono naufragate ancora prima di iniziare: lo Stato ha stanziato, stando al Piano sopracitato, 2,68 miliardi di euro (con, al momento, una misera copertura da parte dei privati). “L’ingresso del governo nella governance dei Giochi è stata importantissima – ha detto Varnier – era strano che non ci fosse prima. La più grande criticità? Coinvolgere l’intero Paese, la business community”. Tradotto: ampliare la “misera copertura” dei finanziamenti privati.
AUSTRIA VS ITALIA: IL CASO DEL BOB DI CORTINA – Nello specifico delle opere né Malago né Varnier hanno preferito entrare. Sui ritardi legati alle infrastrutture, connesse anche al rincaro delle materie prime e dell’energia, Varnier ha risposto che “c’è un dialogo importantissimo con Luigi Valerio Sant’Andrea, amministratore delegato di Simico (Società infrastrutture Milano-Cortina, ndr) con cui facciamo un monitoraggio costante su tutte le opere”. “La barca va nella giusta direzione” si è limitato a dire Malagò. Che però ha voluto dire la sua sulla controversa pista da bob di Cortina. Per l’impianto erano stati previsti poco più di 60 milioni di euro, passati poi agli attuali 85. Nel mezzo l’Austria si è convinta che l’Italia non sarebbe riuscita a intervenire sulla storica “Eugenio Monti” e così si è detta disponibile a ospitare le gare di bob, slittino e skeleton, tanto che il progetto per omologare l’ultimo tratto della pista di Igls (Innsbruck) – e arrivare così al 2026 – sarebbe già pronto (lo stesso Luca Zaia, un mese fa, aveva aperto alla possibilità di valutare il budello austriaco, salvo poi fare subito retromarcia). “La pista Monti – ha detto Malagò – sarà pronta per i test event, quindi ben prima del 2025. Siamo contenti che l’Austria, di sua iniziativa, si sia proposta, ma noi siamo convinti che le gare si terranno in Italia. Va ricordato che la pista porterà benefici al territorio, per 12 mesi all’anno. È un progetto a cui crediamo”.
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