Un film appassionante e appassionato, apparentemente avvinto a superfici colorate, pulsionalmente profondo come un ecoscandaglio oceanico, equilibrio perfetto tra ricerca e commerciabilità
Vorremmo partire, banalmente, dal fatto che in Perfetta illusione di Pappi Corsicato, i quadri del protagonista, cioè la materia di cui sono fatti i suoi sogni, e che traina dando senso peculiare la narrazione del film, non si vedono mai. E, altrettanto banalmente, vorremmo sottolineare come Corsicato sia capace di farci rimanere appesi a quelle cornici invisibili per un’ora e mezza come fossimo travolti e ipnotizzati da una universale e intramontabile fiammella narcisistica dell’affermazione di sé.
Dopo parecchio tempo passato a seguire il mondo dell’arte contemporanea (e si vede come ne ha compreso gli artifici retorici e le rigonfiature finanziare inventate dal mercato), il regista napoletano rimette in moto il suo cinema sgargiante e insinuante, tragicomico e tumultuoso. L’aver fatto da assistente ad Almodovar etichetta e un po’ penalizza (da decenni), ma quella disinvolta esuberanza nel trattare le passioni dell’umano gli è probabilmente naturale. Ecco allora la baldanzosa quotidianità milanese di Toni (Giuseppe Maggio) e la moglie Paola (la cantante Margherita Vicario): lui aitante tuttofare di una spa appena promosso di ruolo e lei intenta ad acquisire un negozio di scarpe di lusso di sua proprietà. A lei servono i soldi del marito, a Toni piace far godere di questo e con altro la moglie. Tutto apparentemente gioioso e irrefrenabile, anche davanti a quella povera coppia di amici con camicia e maglione dai colori spaiati che battibecca sulla realizzazione personale, se non fosse per quei quadri dipinti con amore da Toni che Paola vorrebbe spostare con disprezzo in cantina.
Corsicato sa filmare con passione reiterati urgenti primi piani e invitanti dettagli (il ciuffo scomposto di Toni e il suo bacio sulla natica con filo di mutanda di Paola) alludendo ad un fermento passionale senza mai esibirlo; sa dipingere con colori vivi (il trucco di Chiara che si accende e spegne, chapeau) atteggiamenti e sensibilità dei protagonisti come la superficialità alto borghese dell’apparenza; ma soprattutto entra in sintonia con lo spirito del racconto di Balzac da cui Perfetta Illusione ha origine, lanciando addosso allo spettatore questo impulso vivo, per certi versi ingenuo, di un’affermazione narcisistica del sé facendolo diventare questione di vita o di morte. L’ambientazione nella concorrenziale, sofisticata e plastificata Milano odierna fa compiere al film il miracolo di una descrittività paradossalmente realistica del contemporaneo. Miracolo sia scenografico-visivo (gli angoli urbani in cui l’antico architettonico si fonde con il potere economico e realizzativo moderno) che cinematografico tout-court per un film appassionante e appassionato, apparentemente avvinto a superfici colorate, pulsionalmente profondo come un ecoscandaglio oceanico, equilibrio perfetto tra ricerca e commerciabilità. In sala dal 15 dicembre. Nel cast impeccabile Sandra Ceccarelli (qui l’intervista)