Intorno al tema della mancata costruzione dei nuovi ospedali che il Piemonte attende da almeno trent’anni, in ottima compagnia con buona parte delle regioni italiane, le novità si susseguono frenetiche. Raccogliendo documenti, opinioni, interpretazioni e considerazioni di esperti e professionisti variamente interessati, si va facendo strada l’idea che l’inattività e l’inconcludenza di larga parte della politica regionale italiana non possano essere spiegate solo con la pessima qualità del personale politico. C’è qualcosa d’altro e comincia a emergere.
Un bel contributo viene dal Tavolo tecnico del Cipess, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, coordinato da Gabriele Pasquini di cui fanno parte i ministeri della Salute, Economia, Regioni, Sud, Trasformazione digitale, Affari Regionali, Agenas e Cassa Depositi e Prestiti con il mandato di effettuare la ricognizione degli interventi finanziati (art. 20 L. 11 marzo 1988, n. 67) su tutto il territorio nazionale in tema di edilizia sanitaria. Il 13 ottobre, terminate le audizioni con le Regioni e le Province, il Tavolo tecnico ha provato a rispondere alla domanda clou: come mai, su 23 miliardi messi a disposizione per l’edilizia ospedaliera negli ultimi 30 anni, a oggi ne risultano impegnati solo 13, pari al 57% del disponibile? Fra i fattori che, secondo il Tavolo, determinano lo spreco c’è la carenza di personale tecnico nelle strutture regionali di governo, che perciò non fanno bene il loro lavoro. Poi la burocrazia, soprattutto le difficoltà nella rendicontazione e nella pianificazione economico-finanziaria oltre che nella gestione delle richieste dei fondi al Mef.
Tra i provvedimenti che sarebbe necessario adottare per risolvere almeno alcune delle criticità evidenziate, la creazione di una banca dati nazionale delle professionalità e del fabbisogno di personale per progettare e realizzare, l’istituzione di una cabina di regia per il monitoraggio degli investimenti e l’istituzione di un fondo di rotazione per pagare la progettazione degli interventi previsti. E poi, la definizione di tempi e scadenze in fase di attuazione del programma di costruzione di un ospedale, così che sia possibile monitorare l’avanzamento. Tutte cose necessarie alla mano pubblica per accompagnare la realizzazione di opere complesse, oramai ampiamente standardizzate. Accompagnate da un dilemma che precede e comprende il tutto: come conciliare l’interesse pubblico (avere ospedali funzionali e moderni nei giusti tempi e coi giusti costi) con il possibile coinvolgimento dei privati, siano essi investitori o costruttori. Considerati i precedenti, dobbiamo temere.
Nei primi anni 2000 e fino a qualche anno addietro, le risorse pubbliche per l’edilizia ospedaliera erano così scarse – e la situazione economica delle Regioni in materia di sanità così deficitaria – che la necessità di realizzare nuove strutture spingeva a “privatizzare” l’intervento. In cambio di un canone annuo di gestione “chiavi in mano”, capace di garantire l’efficacia dell’intervento, i privati investivano capitali nella costruzione di ospedali, come di qualunque altra opera pubblica. E’ la stagione del PPP (Parternariato Pubblico Privato) e dei Project Financing come metodologia per ottenere l’edificio chiavi in mano, compreso di attrezzature e arredi e, a volte, di personale. Al pubblico (alle Regioni e alle Asl) oltre alla messa a disposizione della loro quota di danaro, l’onere di allestire gare complesse e interminabili, prevalentemente fallite prima della conclusione. Al privato l’onere di costruire delle associazioni di impresa che fossero così forti da candidarsi alla costruzione e alla gestione dell’immobile, e del servizio. La Corte dei Conti, fin dal 2018, ha messo in guardia le amministrazioni: ricorrere a questa modalità comporta costi aggiuntivi considerevoli e non garantisce qualità e tempi dell’opera. Analogamente la Corte dei Conti europea nello stesso anno.
Negli ultimi anni i fondi statali hanno assunto consistenza e le Regioni possono realizzare i loro ospedali seguendo le procedure ordinarie (progetto, appalto, costruzione, gestione dell’immobile e dei suoi servizi una volta entrato in funzione), con un risparmio sul PPP di circa il 20%. L’ultima iniezione di risorse statali nell’ottobre 2022. Dunque, visto anche le lungaggini e il fallimento di molte gare di PPP, oggi uno strumento alternativo c’è. Ce n’è anche un altro: l’Inail offre le risorse per la costruzione (o l’acquisto) di strutture sanitarie pubbliche in cambio di un canone/mutuo. Stanno usufruendo del finanziamento il Veneto, la Liguria, l’Umbria. Fra le regioni che avevano avviato la procedura anche il Piemonte: addirittura 8 strutture coi soldi dell’Inail annunciate un anno fa, tutto tramontato.
Chi pensava che le Regioni abbandonassero una pratica costosa e fallimentare come il PPP si sbaglia. Almeno in Piemonte si continua imperterriti sulla strada più costosa che, fra l’altro, non dà frutti. Sarebbe bello se la politica, specie l’opposizione, chiedesse il perché di un accanimento che ha prodotto procedure che a vent’anni dall’inizio sono abbandonate dagli stessi competitor privati più accreditati. A fronte di una necessità sempre più impellente di strutture moderne, capaci di ospitare la sanità ospedaliera del futuro prossimo, a chi conviene?
Anche in questo caso una risposta si può intuire: il nuovo ministro delle Infrastrutture ha di recente nominato i 7 membri della Commissione per la revisione del codice degli appalti (Mit – task force appalti). Ebbene, manca del tutto la rappresentanza dei tecnici che gestiscono ogni giorno procedure per l’acquisizione di servizi del valore di miliardi: non serve la loro esperienza? Su 7 membri, 3 sono rappresentanti dell’amministrazione centrale dello Stato, che non ha finora dato grandi prove di efficienza. Poi ci sono avvocati e professori con qualche rischio di conflitto di interesse per aver svolto incarichi di consulenza per fornitori della PA o impegnati in contenziosi contro la pubblica amministrazione.
Ho qualche ragione di temere che l’attività del Tavolo tecnico del Cipess finisca, ben che vada, per essere trattata come una bella esercitazione. Non si spiegherebbe diversamente come mai, mentre il Tavolo era al lavoro, altri componenti dell’amministrazione centrale dello Stato davano supporto e finanziamenti all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Novara per realizzare un progetto di PPP, forse ignorando che la Regione Piemonte dispone di un miliardo di fondi propri disponibili per costruire l’ospedale in proprio.