Scrive il gip: "Grazie al fraudolento sistema contabile, operato con enti interposti, sostanzialmente dipendenti dalla Karibu, si è arrivati a portare in deduzione costi mai effettivamente sostenuti (relativi a prestazioni inesistenti) beneficiando di finanziamenti pubblici, distratti dalle finalità preposte
Soldi prelevati in contanti, bonifici verso l’estero, una rendicontazione delle erogazioni considerata “difficile” e una “gestione contabile non trasparente” con “distrazioni di denaro per finalità estranee alla gestione dei progetti”. Il caso delle cooperative, gestite anche dalla moglie e dalla suocera del deputato Aboubakar Soumahoro (estraneo all’inchiesta), oggi registra un primo punto fermo con il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di Latina, Giuseppe Molfese, che ha interdetto i sei indagati per un anno e ordinato il sequestro di oltre 650mila euro. Per il giudice, che ha accolto la richiesta del pm Andrea De Angelis con il visto del procuratore capo di Latina Giuseppe De Falco, Marie Therese Mukamatsindo, e i figli Michel Rukundo e Liliane Murekatete, “hanno mostrato elevata spregiudicatezza criminale nell’attuare un programma delinquenziale, a gestione familiare, protratto nel tempo e rivestendo le qualifiche societarie documentate in atti”. Le indagini sono relative agli anni che vanno dal 2015 al 2019. A vario titolo agli indagati – tra cui ci sono anche Richard Mutangana, Ghislaine Ada Ndongo e Christine Kabukoma che dal 2014 a oggi si sono succeduti come legali rappresentanti dell’associazione di promozione sociale Jambo Africa di Sezze – vengono contestati l’inserimento di costi inesistenti nelle dichiarazioni fiscali, fatture false per sostenere quei costi ed evadere le tasse e incassare anche finanziamenti pubblici per la gestione delle cooperative impegnate nel sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati.
Scrive il gip che ha disposto anche il sequestro di 650mila euro: “Grazie al fraudolento sistema contabile, operato con enti interposti, sostanzialmente dipendenti dalla Karibu, si è arrivati a portare in deduzione costi mai effettivamente sostenuti (relativi a prestazioni inesistenti) beneficiando di finanziamenti pubblici, distratti dalle finalità preposte (d’altra parte, le relazioni ispettive e le dichiarazioni testimoniali hanno documentato la scarsa qualità dei servizi erogati ai migranti nell’ambito dei progetti assegnati). Come correttamente prospettato dal pubblico ministero, le attuali cariche societarie ricoperte nella cooperativa Karibu e nel consorzio AID, non solo evidenziano il rischio di reiterazione di nuovi reati ma, altresì agevolano l’inquinamento probatorio di ulteriori elementi di indagine oggetto di possibile acquisizione”. Per questo è stato disposto il divieto divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche per un anno. “D’altra parte, le misure interdittive temporanee applicate per la durata massima di un anno, svolgeranno funzione preventiva, scongiurando non solo la prosecuzione delle condotte illecite nelle cariche societarie ad oggi ricoperte ma, altresì l’eventuale ulteriore attività mediante altri enti di nuova costituzione. Se infatti, indubbiamente Maria Terese Mukamitsindo ha svolto e svolge un ruolo centrale nella dinamica delittuosa, anche i figli Michel e Liliane hanno offerto consapevole e attiva partecipazione al meccanismo fraudolento prospettato”.
La cooperativa Karibu “ha percepito fondi pubblici da diversi enti statali perché è stata ente attuatore di progetti come Cas e Sprar, servizi di accoglienza minori e ancora progetto rete antitratta”. Enti attuatori che devono “garantire compiuta tracciabilità dei finanziamenti pubblici e l’effettiva fornitura dei servizi”. Per questo sono state acquisite nell’inchiesta le documentazioni del partenariato tra Karibu, Aid e Jambo. Con la sostanziale incapienza della Karibu c’è stato anche il mancato utilizzo delle risorse pubbliche per le finalità assistenziali preposte. “La disciplina di settore” impone agli enti attuatori dei singoli progetti “a specifici vincoli organizzativi e contabili, lesi a garantire una compiuta tracciabilità dei finanziamenti pubblici ricevuti e l’effettiva fornitura dei servizi richiesti”. Tra questi c’è l’obbligo di “aprire un conto corrente appositamente dedicato al progetto, movimentato solamente con operazioni di accredito e addebito inerenti alle attività gestionali del servizio finanziato, o altresì la tenuta dei libri contabili obbligatori … e delle scritture contabili in regime di contabilità ordinaria“. E proprio l’acquisizione della rendicontazione ha portato agli illeciti contestati dalla procura.
Gli accertamenti delle Fiamme gialle hanno portato a concludere in via preliminare che “gli importi contabilizzati non solo non si riferiscono ad attività sociali, peraltro con prestazioni mai effettuate, ma addirittura sembrerebbero strumento per veicolare il trasferimento di denaro dalla Karibu alla Jambo e da quest’ultima all’estero”. Nell’informativa della Guardia di Finanza si legge che “dal collegamento con la banca dati Inps è stato accertato che nel 2019 la Jambo non risulta avere alcun dipendente; dall’accesso alla banca dati Anagrafe Tributaria, l’associazione ‘Jambo’ non ha presentato alcun mod 770 per l’anno d’imposta 2019, l’associazione nel 2019 risulta aver ricevuto dalla Karibu dei bonifici utilizzati sistematicamente per disporre bonifici anche verso l’estero a diversi soggetti”. I pm di Latina, nella richiesta di misura a cui il provvedimento del gip si richiama, ritengono che “dagli elementi acquisiti emergono indici univoci per ritenere la Jambo e il Consorzio Aid strutture satelliti riconducibili alla sola Karibu, risultando essere schermi fittizi per l’esecuzione di un illecito meccanismo fraudolento a gestione familiare”. Del cda di Karibu, dice in sintesi il giudice, hanno fatto parte la madre e i due figli; Aid è stata amministrata da Mukamitsindo, poi da Rokundo, e poi ancora da Rokundo insieme alla madre e a un’altra sorellastra, A.M., non indagata. Nel periodo di interesse la Jambo “nel 2018 segnala cinque dipendenti tra cui due, Richard Mutangana (indagato, ndr) e di nuovo A.M. “figli della Mukamitsindo”. E gli inquirenti indicano alcune testimonianze a conferma.
Secondo il gip questi elementi permetterebbero di affermare fin da subito “la fittizia interposizione della Jambo e del Consorzio Aid all’interno del meccanismo fiscale, al solo fine di creare costi in deduzione inesistenti e un giro di affari/spese presupposto dalle erogazioni pubbliche”. Ma quello che emerge già è “l’inesistenza assoluta o almeno relativa delle prestazioni sottese”. Nel 2015 Karibu “ha inserito in contabilità costi non documentati (come alberghi, spese viaggio, manutenzione beni, pulizia) e costi relativi a fatture inesistenti emesse da Jambo per un totale di oltre 500mila euro. Nel 2016 costi come “spese viaggio e trasferte, mautenzione beni, vitto e alloggio” e fatture “per operazioni inesistenti emesse dalla Jambo” per un totale di oltre 1,671 milioni di euro. Inoltre la Jambo “aveva la propria sede legale allo stesso indirizzo della Karibu, utilizzava lo stesso dominio web, non aveva utenze intestate né locali o beni in affitto”. Sia l’associazione che il suo legale rappresentante sono risultati “irreperibili” all’Agenzia delle Entrate. “Anomalo” di conseguenza anche l’oggetto delle prestazioni offerte dalla Jambo alla Karibu (come corsi di lingua o di agricoltura, pocket money, manutenzione software) poiché Jambo – definita associazione schermo che avrebbe fornito prestazioni solo per 8mila euro -è risultata priva “dei beni strumentali per tali attività”. Insomma “l’autonomia della Jambo inizia e finisce con l’assunzione di personale che viene utilizzato per la realizzazione delle attività proprie della Karibu”.
C’è poi nella richiesta di misura una testimonianza raccolta dagli inquirenti che aggiunge un ulteriore elemento. “Molti ospiti delle strutture Sprar si allontanavano dalle strutture per ricongiungersi a familiari ed altro di questo i responsabili della Coop Karibu venivano informati immediatamente ma non provvedevano ad espungerli dalla lista tenendoli appesi per tre o quattro mesi continuando così a percepire il contributo dell’ospite che si era allontanato” anche se “non aveva più diritto”. Per i pm quello messo in atto era un “modus operandi consolidato e particolarmente redditizio ma foriero di ingenti danni per l’Erario e più in generale per lo Stato viste le considerevoli somme di danaro pubblico ricevute nel corso degli anni e peraltro in parte destinate a scopi diversi da quelli per cui erano state erogate a fronte della scarsa qualità dei servizi erogati ai migranti, sovrannumero di ospiti, alloggi fatiscenti con arredamento inadeguato rispetto al numero degli ospiti, mobili rotti e malmessi, condizioni igieniche carenti, riscaldamenti ridotti in ore notturne o assenti, derattizzazione e deblattizzazione assenti, corsi di lingua italiana scarsi o insufficienti”.