Il tanfo da decomposizione che arriva da Bruxelles, in cui alcuni nostri compatrioti sono riusciti ancora una volta a farsi riconoscere, dovrebbe definitivamente aver fatto capire che tutto quanto viene toccato dal Qatar risulta irrimediabilmente avvelenato dalla corruzione mischiata al cattivo gusto: lo staterello della penisola arabica in cui gli emiri Al Thani siedono su una montagna di petroldollari, con cui si permettono ogni capriccio e licenza – tra l’illegale e il cafonesco – da quegli stra-arricchiti rifatti che sono, ben consapevoli di rivolgersi a un Occidente popolato da folle di avidi faccendieri col cartellino del prezzo attaccato al bavero; pronti ad assecondarli a fronte di ricche prebende. Ad esempio comprarsi una verginità umanitaria/democratica a mezzo certificazioni a tassametro di politici in trasferta nella penisola arabica. Ad esempio usare gli eventi sportivi come sportwashing, lavanderie per cattive coscienze. Con una particolare attenzione a quel pozzo senza fondo di avidità che è diventato il football.

Tanto da imporre una messa in quarantena per indegnità dell’attuale campionato mondiale, screditato già prima dell’avvio per gli scandali mai negati della sua assegnazione a un organizzatore pieno di soldi ma che imponeva date, clima e layout assolutamente improbabili. La vicenda per cui il presidente Fifa Sepp Blatter è stato bandito a vita dalla carica, mentre quello Uefa Michel Platini ha scontato una squalifica di quattro anni. E i bocconi con cui si sono strozzati non erano certo bruscolini, visto che l’allora reggente del governo calcistico mondiale – il camerunense Issa Hayatou – ora ammette una stecca di 1,5 milioni di dollari.

C’era da prendere le distanze da un evento con tale gestazione, ma niente di tutto ciò è avvenuto. Anzi, appena la macchina promozionale Rai (titolare dei diritti per l’Italia) ha preso avvio, lo sportwashing è diventato di prammatica. In perfetta sintonia con la nuova Fifa, quella presunta bonificata del presidente faccia da poker Gianni Infantino; preoccupato solo che nessuno disturbi con qualche sommessa critica gli emiri degli stadi con l’aria condizionata all’aperto, costati una mattanza di morti bianche per tirarli su a tempi di record.

In particolare la televisione ha svolto la funzione pompieristica di spegnere il possibile (e sacrosanto) sdegno in sede di commento delle partite, scatenando la seconda voce Lele Adani in trance permanente da apoteosi: “il Mondiale più seguito di sempre”, “partite stupende”, “un evento clamoroso”. Ossia un commentatore, che si era fatto apprezzare per un atteggiamento analitico e critico delle vecchie logiche del calcio italiano, in preda a una sorta di delirante misticismo estatico, forse sufita (visto l’ambiente islamico delle telecronache e il feticismo del pelo della sua barba incolta) su base pallonara. Con un crescendo di affermazioni visionarie in adorazione di Lionel Messi, definito “il migliore del mondo”, quando è ormai un giocatore sul viale del tramonto, in grado ancora di regalarci qualche lampo dell’antica classe (che Adani saluta come “dono di cui dovremmo ringraziare il Signore”, “Messi elargisce amore”) intervallato da momenti di assenza; almeno da quando andò a svernare a Parigi. In un delirio che arriva a coinvolgere l’adorato Diego Maradona in eccessi di blasfemia; in cui il tossico frequentatore di camorristi e spacciatori viene dato alla destra di Dio (“Barba” nella sua versione pop) mentre contemplano le partite da scalee paradisiache. Quel Maradona che il super esperto di calcio, trasformato in sacerdote del suo culto, descrive vincitore “da solo” del Mondiale 1986, come se i due Jorge – Valdano e Burruchaga – fossero pippe. E qualcuno si è mai chiesto se un Omar Sivori, vissuto in epoca di calcio pre-televisivo, non valesse sua santità Diego (e in più non faceva gol con la mano).

Per quanto riguarda il caso umano del telecronista in preda alle crisi mistiche, forse sarebbe meglio fermarlo. Eppure registro con una certa sorpresa che l’effetto indottrinamento pro Qatar sta producendo i suoi effetti. Almeno visti i commenti che ho già incassato nel precedente post su questo tema. A prescindere dai solti spurghi di chi sbava per l’opportunità di avere un blogger a tiro di sputo o il voyeur calcistico che ti chiede quante Libertadores hai visto (il problema è sapere cosa lui ci ha capito) e – a far buon peso – i bastian contrari a prescindere, resta il fatto che una fetta non trascurabile di audience prende sul serio questo baraccone dei Mondiali; che sembra aver problemi a collegare la location qatariota con quanto è stato smascherato a Bruxelles. A riprova della potenza irresistibile della comunicazione mediatizzata nel lavare i cervelli a chi è propenso a credere di vivere nel migliore dei mondi possibili. E chi gli dice il contrario, “peste lo colga”.

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