Cronaca

“Violenza sessuale di gruppo” e “torture” nel carcere minorile Beccaria: coinvolto un gregario dei trapper Simba la Rue e Baby Gang

Un 16enne egiziano, secondo quanto ricostruito, è stato legato a una finestra, violentato con oggetti, preso a calci e gli è stata gettata addosso acqua bollente. Tra le persone indagate c'è un gregario violento dei due trapper, da poco maggiorenne e già recluso per una rapina

Sorpreso nel sonno, legato con i polsi alla finestra del bagno, violentato con oggetti, una sigaretta spenta in faccia e sul braccio, calci mentre era inginocchiato e acqua bollente versata addosso. Una “violenza sessuale di gruppo” e una vera e propria “tortura” si è consumata nel carcere minorile Beccaria di Milano, secondo quanto ricostruito dalla pm Rosaria Stagnaro della procura di Milano grazie al lavoro congiunto di Squadra Mobile e polizia penitenziaria. La vittima, racconta il Corriere della Sera, è un 16enne egiziano proveniente da un “campo libico” e recluso nell’istituto di pena perché accusato di aver palpeggiato una donna in metropolitana.

Sotto accusa sono finiti tre suoi coetanei, tra i quali anche un neo maggiorenne della Costa d’Avorio, considerato un “gregario violento nella banda di trapper facenti capo a Simba la Rue e Baby Gang”, recentemente finiti al centro di diversi episodi di cronaca per le violenze di cui sarebbero stati protagonisti tra Milano e le province del Nord della Lombardia. Il tutto si sarebbe verificato nella notte tra il 7 e l’8 agosto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, approfittando del cambio di turno degli agenti.

A capo dei tre ci sarebbe stato proprio il neo 18enne che sta scontando in un penitenziario del Nord Italia una condanna a 16 mesi per rapina, tentata estorsione e minaccia nel 2018 a Varese. Il 16enne egiziano, invece, grazie agli sforzi del suo legale Daniela Frigione, è stato trasferito negli scorsi giorni in una comunità. La tortura viene contestata per la prima volta per le violenze di un detenuto su un altro detenuto e la motivazione risiede nel “trattamento inumano e degradante la dignità umana” al quale è stata sottoposta la vittima.