Lavorare quattro giorni a settimana per nove ore, con lo stesso stipendio. È la proposta che Intesa Sanpaolo ha pronta sul piatto per i dipendenti in Italia. La cosiddetta settimana corta potrà essere adottata individualmente dai singoli lavoratori a partire da gennaio 2023, compatibilmente con le esigenze tecniche, organizzative e produttive della banca. Un nuovo modello che, secondo l’istituto di credito, va incontro alle “esigenze di conciliare gli equilibri di vita professionale e lavorativa, e dimostra attenzione al benessere del personale”. Una lettura edulcorata secondo i sindacati – Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin – che denunciano la chiusura dell’azienda nel corso delle trattative: “Nonostante cinque mesi di colloqui, non è stato possibile sottoscrivere un accordo”.

Nel piano presentato da Intesa, la giornata lavorativa si allungherebbe di un’ora e mezzo, rispetto alle sette ore e mezzo attuali, e il dipendente non avrebbe l’obbligo di avere il giorno di riposo fisso. Oltre a queste, l’azienda ha deciso di introdurre un’altra novità: la revisione del modello dello smart working. Il lavoro flessibile verrà reso disponibile ai dipendenti per 120 giorni all’anno, senza limiti mensili, con un’indennità di buono pasto di 3 euro al giorno, per tener conto anche delle spese sostenute da chi lavora da casa.

E anche su questa indennità si sono concentrate le critiche delle organizzazioni sindacali. Le sigle denunciano l’assenza di un accordo perché Intesa non ha voluto aprirsi al confronto su alcuni punti ritenuti fondamentali dai rappresentanti dei lavoratori: estendere lo smart working e la settimana corta a tutti i dipendenti della rete filiali; individuare strumenti tecnici che permettano una reale disconnessione al termine del proprio orario di lavoro; incrementare per tutti il valore del buono pasto; riconoscere il buono pasto intero per le giornate di smart working; riconoscere gli indennizzi per le spese energetiche e di connessione, oltre a un contributo per l’allestimento della postazione di lavoro.

“Nonostante cinque mesi di trattativa e alcuni passi in avanti, queste chiusure, incomprensibili visto il più che positivo andamento e l’organizzazione della banca, non hanno permesso la sottoscrizione di un accordo”, si legge in una nota dei sindacati. Nei colloqui di ottobre tra l’azienda e la Federazione Autonoma Bancari Italiani (Fabi), era stato proprio il nodo dei costi domestici dello smart working – soprattutto quelli energetici – a impegnare le parti. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, aveva sottolineato come fosse necessario evitare che le spese fossero trasferite dal datore di lavoro al dipendente. Le soluzioni proposte da Intesa, almeno da questo punto di vista, non sono considerate sufficienti.

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