“Come fai a denunciare questo schifo quando sei una studentessa che rischia di non laurearsi più? Come fai?”, chiede l’ultima studentessa anonima che ha scritto al blog YouniPa, gestito dagli studenti universitari di Palermo. Il portale è finito al centro dell’attenzione per aver pubblicato, lo scorso 24 novembre, una lettera-denuncia anonima che ha svelato l’esistenza di una listahot” delle colleghe stilata a gennaio da un dottorando del corso di Economia. Da lì è scaturito il più classico effetto domino: nei giorni successivi una valanga di testimonianze si sono abbattute come una slavina sull’ateneo. “Saremo implacabili. Abbiamo avviato un’indagine interna e senza dubbio il dottorando subirà una sanzione disciplinare”, assicura il rettore Massimo Midiri. “È stato detto erroneamente che ci fossero commenti sulle prestazioni sessuali, invece si tratta solo di giudizi estetici. Sempre gravi, indubbiamente, però la lettera riporta molte inesattezze, come il fatto che si trattasse di studentesse: erano dottorande”, precisa. Sollevando dubbi anche sulll’autenticità della lettera: “È stata pubblicata dieci mesi dopo, proprio in occasione del giorno contro la violenza sulle donne. Tutto studiato ad arte, qualche dubbio mi viene…”.

Sui fatti però dubbi non ce ne sono più: dopo la denuncia, infatti, le dottorande citate nella lista hanno confermato tutto. La lista hot del dottorando è vera e da gennaio è circolata via Whatsapp tra i dipendenti del dipartimento di Economia, fino ad arrivare ai coordinatori. Ecco la testimonianza contenuta nella lettera-denuncia che ha fatto scoppiare il caso. “Ciao YoUnipa, sono una studentessa afferente ad uno dei corsi di studio del Dipartimento di Economia. Ti scrivo perché qualche mese fa sono finita, mio malgrado, in una di quelle voci di corridoio, quelle che si trasmettono di bocca in bocca velocemente, che vengono storpiate racconto dopo racconto, tra i corridoi del dipartimento. In questo caso la notizia riguardava una lista di cui facevo parte”. Cioè una sorta di “classifica” sulle colleghe: “Una classifica di bellezza”, minimizza il rettore. Ma nella denuncia c’è scritto altro: “Una lista sui generis non solo per l’oggetto (specificatamente si trattava di una lista di studentesse classificate secondo le migliori prestazioni sessuali) ma anche per l’ignobile soggetto redattore. A redigere questa classifica infatti è stato uno dei dottori di ricerca del dipartimento, un mio ex collega con cui peraltro non sono mai andata oltre un caffè alle macchinette. Con cui non ho mai avuto alcun contatto se non dei saluti sfuggenti e uno scambio di sorrisi tra i corridoi dell’edificio. Di certo non ha mai avuto modo di giudicare le mie capacità orali, nemmeno a livello di esame di profitto, ma questo non l’ha fatto desistere da scrivere il mio nome e cognome su quella lista, oggettificandomi e mortificandomi”.

La lettera però stigmatizza anche la condotta del corpo accademico: “Questa lista (…) essendo stata divulgata tramite Whatsapp ad altre persone si è diffusa silenziosamente in dipartimento, insinuandosi tra colleghi, docenti e qualcuno del personale tecnico amministrativo. Io sono stata informata direttamente, screenshot alla mano, da un collega che fa parte di un’associazione universitaria, a cui ho chiesto più volte se anche le associazioni potessero fare qualcosa a riguardo, ma che mi ha risposto che non possono mettersi contro i docenti, il coordinatore, il sistema. Quando ho saputo che la cosa era arrivata anche alle orecchie del coordinatore del dottorato… Mi rincuorava il fatto che di lì a poco ad essere nei bisbiglii dei colleghi all’Università non ci sarei stata io o l’altra collega sulla lista, ma ci sarebbe stato il mio collega con la sua giusta punizione per aver fatto qualcosa di sbagliato, di ingiusto, qualcosa che ti macchia e ti lascia il sospetto e la vergogna addosso”. L’Ateneo però non ha preso provvedimenti, mentre si è scagliato contro il sito che ha pubblicato la denuncia: “Si tratta di un blog che utilizza impropriamente il logo dell’università, ed è gestito da privati che non sono neanche nostri studenti”, attacca Midiri.

Eppure le denunce si sono moltiplicate, mentre in Ateneo girano volantini con su scritto “Fuori i sessisti dall’università” e giovedì si è tenuta un’assemblea studentesca sul tema. Ma il rettore scuote la testa: “Si è fatto un caso da una situazione che sicuramente rientra in un caso di molestie ma non traduce tutti i nostri sforzi per un contesto di serenità per studentesse, dottorande, docenti: abbiamo un prorettore ad hoc, abbiamo destinato fondi solo per questo. Siamo sempre stati implacabili e lo saremo anche in questo caso”. Un caso che però è rimasto sottotraccia per dieci mesi. “Quattro anni fa anch’io ho subito un comportamento che mi ha messo molto a disagio”, ci racconta Margherita (nome fittizio), ex studentessa. “Il professore ha iniziato a seguirmi su Instagram e mi commentava le storie in privato, mi sono sentita in colpa, ho pensato di non metterne più o di evitare di metterne con me in minigonna, ma poi sono rinsavita e mi sono detta che non dovevo limitare la mia libertà per un comportamento inappropriato che stavo subendo. Ma io sono stata fortunata: avevo già dato la materia del professore in questione, anche se poi me lo sono sono ritrovata in commissione di laurea. Tutto è andato bene ma poteva andare diversamente e non ho avuto abbastanza coraggio per evitare che succedesse a qualcun’altra. Spero adesso di potere dare una mano”. “Faremo di tutto per mettere in condizione di denunciare in modo sicuro. Che le nostre studentesse e dottorande si sentano al sicuro è importantissimo pure per noi”, assicura Midiri.

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