Il 12 dicembre, il sito Gallura oggi ha pubblicato un articolo sulla vittimizzazione di una ragazza di 15 anni che, alla fine di novembre, ha denunciato un ventottenne per violenza sessuale. Si tratta di un amico di famiglia che durante lo stupro l’ha aggredita e presa a pugni.
La ragazza si è rivolta al Pronto Soccorso di Olbia ed è scattato il Codice Rosso che ha portato all’arresto dell’indagato. Gallura oggi scrive che le telecamere di sorveglianza hanno confermato i fatti riportati nella denuncia, eppure, nonostante i primi riscontri ne rafforzino la testimonianza, l’ostilità del paese si è riversata tutta sulla ragazza. Rea di uscire, invece di restare in casa – dimostrando a tutti di essere una vittima perfetta, all’altezza delle aspettative dei paesani che le hanno già addossato vergogna e colpa. Se lui ha il diritto di essere ritenuto presunto innocente fino al terzo grado di giudizio, lei è una presunta bugiarda prima ancora che il processo sia stato celebrato.
Il victim blaming è fatto di mormorii di paese, maldicenze che corrono di casa in casa e diventano una condanna morale che si manifesta con aggressioni e ingiurie sui social, alimentate da sciami di odiatori e odiatrici ben lieti di organizzare lapidazioni virtuali. Spesso la shitstorm è organizzata dagli amici o dai parenti degli accusati o talvolta sono gli stessi accusati o condannati che danno il via alla grancassa, consapevoli di avere sostenitori disposti a caldeggiare le loro invettive contro le vittime.
Il sito Gallura oggi riporta anche altri casi analoghi: la Sardegna, con 18 donne uccise in cinque anni, è diventata la terza regione italiana per numero di femminicidi. Nonostante questo incremento delle violenze contro le donne, il sito raccoglie una serie di precedenti shitstorm che si sono riversate su donne che avevano denunciato violenza sessuale o domestica. Il 3 novembre scorso una ragazza ha difeso pubblicamente la madre, fuggita alla violenza e attaccata sui social da sciami di commentatori che difendevano il violento che l’aveva inseguita e per vendetta le aveva distrutto l’auto.
La storia si ripete fin dai tempi di Artemisia Gentileschi, che nonostante la condanna di Agostino Tassi (che non fece mai un giorno di carcere) dovette lasciare Firenze per qualche anno, come tante donne dopo di lei che hanno ottenuto la condanna dell’autore di violenza ma poi hanno scelto di lasciare i luoghi dove hanno sempre vissuto. Sono trascorsi secoli e dalla clessidra sono passate montagne di sabbia, ma ancora non si seppelliscono i pregiudizi contro le donne. Il victim blaming è sempre tra noi, nella Roma del 1600 e nei paesini italiani o nelle città del 2022. La cosiddetta civiltà avanza portando con sé il passato e le moderne gogne sui social feriscono profondamente le vittime, invitandole a tacere e a nascondersi. Ancora.
@nadiesdaa