Attualità

Matilde Gioli a FqMagazine: “I ragazzi di oggi sono sani, ma bombardati da fattori esterni. La mia adolescenza? Turbolenta, mai stata bocciata”

L'attrice per la prima volta veste i panni della guida di dieci ragazzi – tra i 18 e i 23 anni – protagonisti di “Summer Job”, il primo reality italiano di Netflix. “Ho accettato perché spinta da grande curiosità”, ci ha spiegato Matilde Gioli che ha anche fatto un ritratto realistico e lucido sui giovani di oggi

Bella, sorridente, occhi azzurri spalancati al mondo. Matilde Gioli non è solo la brava attrice, che il grande pubblico televisivo ha imparato ad amare in “Doc-Nelle tue mani”, ma è anche una donna curiosa, affascinata dalla vita degli altri e sempre disposta a mettersi in gioco. È forse per questo che la Gioli ha accettato di essere la guida, si badi bene non la conduttrice, dei dieci ragazzi protagonisti di “Summer Job”, il primo reality italiano realizzato da Banijay Italia per Netflix, in otto puntate. Dieci sconosciuti – tra i 18 e i 23 anni – si recano in Messico, sulla riviera Maya, convinti di partecipare ad un reality-vacanza da sogno. In realtà scopriranno presto che la vacanza dovranno guadagnarsela con il duro lavoro (dal servire i tavoli a spalare letame) e anche per accaparrarsi il montepremi finale che parte da 100mila euro. “Nessun intento educativo – mette le mani avanti Giovanni Bassetti, manager per i contenuti non fiction Netflix -. Vogliamo solo stupire il pubblico televisivo. Parliamo sempre di show”. Abbiamo incontrato Matilde Gioli per farci raccontare quello che si cela dietro le intenzioni di “Summer Job”.

Come definiresti questi dieci concorrenti?
Ragazzi sani, ma bombardati da fattori esterni.

Quali sono questi fattori esterni?
Tutto quello che sta avvenendo nel mondo. Credo sia in atto, da anni, una crisi di valori molto importante che parte dalle famiglie sui valori di base che sono sacri.

Di quali valori parli?
Piccole cose come il fatto di stare a tavola tutti insieme, parlarsi guardandosi negli occhi, le regole di convivenza in casa. E ancora il rispetto delle figure dei genitori e dei professori. Un certo modo di stare insieme con i propri pari (che siano adolescenti e ventenni), fatto di scambio vero e uscite e non solo di cellulare.

I cellulari ostacolano le relazioni?
Riconosco la potenza di questi strumenti e l’enorme passo avanti fatto dal punto di vista tecnologico. Mi fa paura però quanto tutto sia ormai a portata di un clic. Non basta una realtà modificata dai filtri o di chat virtuali. Questa è una via facile che preclude le esperienza di vita necessari, a volta difficili, come la sofferenza che va attraversata. Credo che i ragazzi perdano una serie di cose importantissime, ingoiati da una realtà che non è realtà.

Il disagio dei giovani dipende dalla fragilità degli adulti o da Internet?
Lavorando su me stessa ho capito che è inutile colpevolizzare qualcuno e quindi anche i genitori. Questi ultimi hanno una grande responsabilità certo, ma i figli vivono in un piccolo universo fatto di libertà (si spera) e che imparano, anche da soli, a saper stare al mondo. Per questo penso che le attività sportive, partecipare agli scout, far serata assieme, il contatto con la natura, gli animali e l’ambiente possano tirar fuori i ragazzi dall’isolamento, dentro il quale si sono rinchiusi soprattutto negli ultimi anni.

Hai frequentato il Liceo Classico Beccaria di Milano. Che adolescente sei stata?
Abbastanza problematica. Non ero una studentessa modello, ma non sono mai stata bocciata e ho sempre avuto voti dignitosi nonostante non abbia mai avuto il pallino dello studio. In classe ero facilmente distraibile, appena passava un cane fuori per strada lo cercavo con lo sguardo. Mai ferma al banco, ero molto curiosa. Ho avuto momenti in cui non sempre mi sentivo accettata, non ero una leader piuttosto ero tra gli ‘esclusi’ e quindi con una bassa autostima.

A 16 anni durante una vacanza studio a Londra hai rischiato di rimanere paralizzata con 5 vertebre rotte. Come non ti sei abbattuta?
La mia curiosità cronica mi ha dato una forza incredibile. Ho vissuto con il busto di ferro per mesi senza poter uscire, chiusa in casa. Così ho letto, mi sono informata, chiedevo qualsiasi cosa ai miei genitori. Infatti devo dire che quando c’è stato il lockdown non l’ho vissuta così male (ride, ndr), avendo già vissuto una reclusione forzata.

A 23 anni il primo ruolo ne “Il capitale umano” di Paolo Virzì. È stato il destino?
Ho debuttato come attrice, senza che fosse previsto. Ho dovuto farlo per motivi economici, nel frattempo si è ammalato papà durante le riprese.

Sliding Doors. Come sarebbe stata la tua vita senza set?
Avrei fatto la magistrale in Filosofia della Scienza. Sono appassionata dei temi che riguardano la neurologia e dal lavoro dei neuroscienziati. Oggi esistono gruppi di lavoro e di ricerca, soprattutto in America, che mettono assieme più discipline come la medicina, la filosofia, la sociologia, l’antropologia e la psicologia, tutti insieme per indagare meglio su una malattia o un disturbo. Una contaminazione preziosa. Se no, avrei avuto un altro piano B.

Quale?
Risorse umane e cacciatrice di teste.

Matilde Gioli è camaleontica?
(Ride, ndr) La brevità della nostra vita non ci permette di scavare a fondo, dentro di noi. Ed è un peccato perché facendolo sicuramente scopriremmo che saremmo in grado di fare cose che non avremmo mai immaginato.