I medici, al capezzale del Pd, su un punto concordano: “Mancano le idee!”. S’intende, su come governare l’Italia. Molti dirigenti invocano una “rifondazione”, dopo aver condotto il partito (e il Paese) in uno storico cul de sac. Nasce un “Comitato Costituente”, 87 nominati da Letta. Anche se un “Manifesto dei Valori” già lo scrissero, dopo molti seminari, nel 2007. Ma un ex Segretario invoca “idee spendibili subito”. Servito! S’annuncia “la prima iniziativa della nuova fase costituente”, una “controproposta di legge di bilancio“.
Tale dibattito mira all’auto-conservazione delle élite. Difatti, per rifondare il Pd non occorrono nuove missioni, ideali, obiettivi: basterebbe ritrovare quelli storici del riformismo, da Turati in poi: democrazia; giustizia sociale; ambiente, pace, ecc. Quanto alla loro concreta declinazione, università, centri-studio, fondazioni, esperti sono ricchi di strategie e progetti di alto livello. Basterebbe organizzare l’ascolto e recepire. Ma il Pd è impermeabile alle idee. Come mai?
Il problema è la rappresentanza degli interessi, cioè la democrazia interna. Che, parafrasando Gaber, “è partecipazione”. Perché i dirigenti ripetono: “dobbiamo tornare nelle periferie”; mai: “lasciamo entrare le periferie”? Perché restano fuori quasi tutti i leader sociali, gli intellettuali, gli iscritti dei Circoli (divenuti irrilevanti sfogatoi); gli elettori (chiamati solo a plebiscitare i “big”)? Perché nel Pd si entra solo se cooptati! Già Veltroni: hey, ho candidato “un giovane”, “una donna!”, “un nero”, “un operaio della Thyssen”… Questa era la sua “apertura alla società civile”.
Il tesseramento è in crisi, i sondaggi negativi. Cottarelli a Milano rileva un “odio profondo” per il Pd da parte dei “suoi stessi elettori”. Che Gianni Cuperlo non si spiega: “Sono stanco di ricevere sputi e insulti … da quelli che ci spiegano cosa fare e pensare con tono denigrante … gli stessi che quando il potere abitava qui erano qui a coglierne riflesso e utili”. Insomma: cooptati ingrati! La cooptazione non ammette critiche. L’odio nasce da qui: dall’ipocrisia dei riti democratici privi di contenuto, dalla democrazia tradita.
Una concezione “democratica” meramente formale finisce per investire le istituzioni del Paese, causandone il declino. Difatti il Pd, “Partito della Costituzione”, ha contribuito a rendere il Parlamento un luogo pletorico (S. Cassese), fra l’altro con l’abuso dei decreti legge. Ha attaccato l’art. 138 Cost., che la protegge dai colpi di mano. Ha cambiato un terzo della Costituzione in senso semi-autoritario, venendo fermato per referendum. Ha messo a rischio la tenuta democratica del Paese con leggi elettorali incostituzionali (fortuna che Meloni non è Mussolini). Gli elettori non possono scegliersi i propri rappresentanti: invece di far funzionare il sistema delle preferenze lo hanno abolito.
Diversi articoli della Costituzione sui diritti attendono dal 1948 la legge di attuazione: come gli art. 39 e 49 sulla democrazia nei sindacati e nei partiti! E se “la democrazia ha bisogno di manutenzione” (P. Scoppola), delle crepe che emergono – tre esempi: l’impotenza della Corte a vagliare in via principale la nuova legislazione; i conflitti di interesse dei membri delle assemblee elettive e relativi poltronifici; l’assenza del numero identificativo sui caschi degli agenti di polizia – il Pd non si cura. Perché allora gli italiani non dovrebbero rivolgersi ad altri modelli politici e costituzionali potenzialmente autoritari, nell’illusione eterna che un rapporto diretto con i leader offra al popolo maggiori leve?
La democrazia dentro e fuori il Pd non sarà al centro delle preoccupazioni della gente. Ma con il suo declino, dal 2007 (nascita del Pd), non per caso, disuguaglianze e povertà sono cresciute (indice Gini +1,8). L’adesione acritica, ideologica, al paradigma neoliberista dell’euro ha comportato: una caduta del Pil pro-capite del 7%, l’interruzione del calo secolare degli incidenti sul lavoro, l’aumento del debito/Pil da 104 a 147% e una spesa “eccessiva” annuale per “spread” di 25 miliardi (sottratti al welfare), di cui non si vede la fine. Per fare scelte sciagurate, il Pd ha rotto i rapporti con Ong e intellettuali di riferimento (keynesiani, costituzionalisti, politologi), salvo i tre cooptati per dare ragione al Capo.
Non tutto va male per colpa del Pd, no. Ma il Pd come minimo non ha mai presentato un piano organico per manutenere la democrazia, abbattere la povertà, per la transizione ecologica, per una riforma strutturale dell’euro, per l’ordine mondiale… Però ha le idee chiare sugli stipendi dei parlamentari più alti del mondo (grafico): “Garantiscono autonomia, disciplina e onore!” (Boldrini).
I candidati nazionali promettono di mettere fine alla cooptazione, di aprire il partito. Ma non dicono come. Al Congresso si va senza un dibattito strutturato, tempi congrui, regole certe. Per presentare mozioni (e candidarsi) occorrono decine di migliaia di firme di iscritti da tutt’Italia, i cui nominativi (email) sono uno dei segreti meglio protetti del Pd.
Qualche misura pre-congressuale di buon senso sarebbe ancora possibile:
1. Una Commissione di Garanzia realmente autonoma;
2. Superare le liste bloccate per l’elezione dei delegati;
3. Rendere pubblico il numero degli iscritti, con dettaglio regionale, e le email dei circoli. Inviare a tutti gli iscritti tutte le mozioni congressuali pervenute, per garantire pari visibilità e pari possibilità di raccogliere le firme necessarie;
4. Più di due candidati abbiano accesso alle Primarie.
Quale candidato nazionale appoggerebbe queste minime proposte?