Addio Lando Buzzanca. L’homo eroticus, il merlo maschio, il vichingo venuto dal Sud aveva 87 anni. L’attore palermitano aveva rappresentato negli anni settanta una sorta di esempio comico di insaziabile e naturalissima sessualità maschile (meridionale e nella fattispecie sicula) in parecchi film che ottennero un largo successo di pubblico, quando ancora gli italiani andavano al cinema. Attorniato, anzi immerso, spesso in ricchi ginecei d’attrice di rara bellezza, spesso denudate, Buzzanca aveva svettato, lungo lungo e ultra ingrifato, con quella pupilla dilatata e quello sguardo sornionamente giudicante, come un mattatore alternativo alla genia dei comici più di sinistra e teatralmente riconosciuti, parallelamente all’affermarsi del personaggio “sfigato” alla Paolo Villaggio, prima ancora che nascesse la commedia erotica tout court degli Alvaro Vitali, dei Lino Banfi, dei Boldi e Pozzetto.
Nato a Palermo in una famiglia di teatranti, sembra subito poter avere spazio addirittura nel cinema internazionale (c’è l’esordio con la comparsata nella galea di Ben Hur) che subito diventa coprotagonista nei primi sessanta di due successi clamorosi di Pietro Germi, Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, sempre a tema di corna e sesso mescolate alla tradizione omertosa siciliana. Il trampolino però non lancia del tutto e Buzzanca boccheggia tra particine minori (segnaliamo James Tont, parodia fiacca di 007) fino a quando non sfonda in tv nel 1970 nel varietà Signore e signora con Delia Scala. Folto moraccione dal sorriso avvolgente si inventa un tormentone che lascia il segno e che lo trascina nuovamente su grande schermo nei primi settanta per il filone del maschio arrapato e irrefrenabile: Il Merlo Maschio, L’homo eroticus, Quando le donne persero la coda e Quando le donne avevano la coda, o nell’emblematico Jus primae noctis dove fa il signorotto che ripristina il diritto di deflorare ogni sposa del contado. Clamorose anche le commedie modello satira di costume come L’arbitro, dove per poter accontentare moglie e amante assume anfetamine come un pazzo o Il sindacalista di Luciano Salce, dove è ancora un meridionale al Nord, operaio che finisce per essere sfruttato due volte dal padrone anche nelle sue lotte sindacali (da segnare: la scena della lunghissima pernacchia al telefono).
Altre perle assolute le parodie di genere rimescolate da commedia come Il cav. Costante Nicosia demoniaco: ovvero Dracula in Brianza, per la regia nientemeno di Lucio Fulci; o Il gatto mammone con una immensa Gloria Guida, dove il povero Lando, ancora focoso meridionale alle prese con la necessità di un figlio scopre nientemeno della sua sterilità dopo aver decantato ai quattro venti la propria mascolinità. Buzzanca pare davvero irrefrenabile interpretando in alcuni anni anche 5 film (nel 1972, ad esempio) per poi fermarsi improvvisamente sul finire dei settanta, e allontanarsi pressoché del tutto dal grande schermo fino a quando riapparirà nel 2007 nel film storico
I vicerè di Roberto Faenza, probabilmente alla ricerca di quella parte “seria” per acquisire i galloni dell’attore che sa recitare oltre la leggerezza del comico, o nella serie tv Chi salverà le rose (2017) in cui mostrerà sensibilità verso il tema dell’omosessualità, lui dichiarato uomo di destra fin da quando era ragazzo. Invece Buzzanca era l’interprete perfetto di una stagione cinematografica e di un’epoca culturale, di uno stereotipo a base di eros vedo non vedo e di maschilismo spinto. Lo ricorderemo così con quella fame di accoppiamento, quella bramosia di copula, in pieni settanta dove tutti i colleghi facevano ridere da impegnati e lui fantasticava libero tra cosce e seni femminili.