Mentre a Montreal i governi discutono strategie per tutelare la biodiversità, la Terra rischia di affrontare la sesta estinzione di massa. Per gli scienziati, sono in pericolo almeno il 30% dei mammiferi, come tigri e lemuri, il 40% degli squali e delle razze e un quinto degli uccelli
La Terra rischia di affrontare la sesta estinzione di massa, dopo quella dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Ad affermarlo sono scienziati e ricercatori da tutto il mondo, preoccupati dal ritmo con cui la biodiversità sta scomparendo sul pianeta. Entro i prossimi decenni potremo dover dire addio a circa un milione di specie, tra varietà di piante, mammiferi come i lemuri o la tigre del Bengala, insetti, rane, uccelli, serpenti e salmoni, squali, leoni marini e altri animali acquatici, secondo l’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), il panel degli scienziati delle Nazioni Unite. La colpa non sarà, come in passato, dei fenomeni geologici naturali, ma dei comportamenti dell’uomo: tra tutti la deforestazione, l’agricoltura e l’allevamento intensivo e l’allargamento senza controllo delle città. Con l’ultimo accordo sulla tutela della natura, che prevede la protezione del 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030, i governi mondiali non sono ancora riusciti a rallentare il declino della fauna e della flora selvatiche. Fino al 19 dicembre saranno a Montreal, in occasione della Cop 15, la conferenza dell’Onu sulla biodiversità, per tentare di tracciare un percorso più efficace. In caso contrario, il prezzo da pagare sarà altissimo.
I numeri della crisi di biodiversità – Le specie sulla terra, secondo le stime, dovrebbero essere circa 8,7 milioni. Solo negli scorsi decenni le loro popolazioni erano enormemente superiori. Tra il 1970 e il 2018 hanno subito un crollo medio del 69%, secondo i ricercatori del Wwf e della Zoological Society di Londra. Attualmente i gruppi nella lista rossa a rischio di estinzione, stilata dall’Iucn (Unione internazionale per la conservazione naturale) sono 41 mila sui 147.500 analizzati. Il 30% di queste sono mammiferi: alcuni iconici come la tigre del Bengala, la tigre di Sumatra, ma anche i lemuri del Madagascar. Negli ultimi 20 anni questi animali hanno perso circa il 40% dei loro habitat e quasi la totalità della loro popolazione è minacciata dalla caccia senza regole, a scopo alimentare. Non va meglio ai pipistrelli bianchi dell’Honduras, che hanno perso circa la metà delle foreste che li ospitano in America centrale. La situazione è ancora più grave per altre specie. Oltre l’80% delle cicadee, delle piante più antiche dei dinosauri, potrebbe scomparire del tutto. Più del 40% degli squali e delle razze è a rischio di estinzione, insieme al 20% dei crostacei e alla maggioranza delle barriere coralline. Sono sempre meno anche gli anfibi: il 40% delle varietà in pericolo include specie rare come la rana volante del fiume Abah, presente nelle foreste della Malesia e dell’Indonesia, dicono i ricercatori di Map of Life dell’università di Yale. Secondo l’ultimo rapporto di Birdlife International sullo stato degli uccelli, le specie più a rischio sono l’aquila arpia sudamericana, il pappagallo giallo dell’Amazzonia e l’uccello segretario, un grande rapace dell’Africa subsahariana. A comparire nella lista rossa è circa un quinto di tutte le specie volatili ma il 79% è sotto pressione a causa della crisi climatica, della deforestazione e dello sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo.
La mappa della crisi della biodiversità – La situazione è particolarmente grave in America Latina e nei Caraibi, che hanno registrato in media un calo del 94% della della loro fauna selvatica. L’Africa si piazza seconda con il 66%, seguita dall’Asia, dal Pacifico con il 55% e dal Nord America con il 20%. L’Europa e l’Asia centrale invece hanno registrato un calo del 18%. I rischi però non sono distribuiti equamente. Alcuni luoghi, come la tundra siberiana, sono molto meno interessati da fenomeni come agricoltura intensiva o deforestazione. Inoltre la distruzione delle barriere coralline e delle foreste pluviali ha maggiore impatto sulla salute della biodiversità rispetto a quella di altri ecosistemi meno abitati, come il deserto o le regioni polari. In tutto, i ricercatiori dello Iucn hanno identificato 36 hotspot, cioè aree della Terra ricche di vita, che richiedono una protezione più urgente. Tra queste il Sundaland (nel sud est Asiatico), il Caucaso, le isole indonesiane e le foreste dell’Australia orientale. Il declino della biodiversità infatti non è inevitabile. L’imnpegno degli ambientalisti è riuscito a evitare l’estinzione per numerose specie, come la lince iberica, il cavallo di Przewalski e il pappagallo amazzonico portoricano. Seguendo questo esempio, gli scienziati dello Iucn stanno elabirando diverse strategie per recuperare animali e piante nei territori più a rischio.
Il legame con la crisi climatica – Preservare gli ecosistemi è fondamentale anche per gli esseri umani. Secondo gli scienziati, il loro collasso mette a rischio le riserve di cibo e acqua che sostengono la popolazione mondiale. Tali risorse si traducono in un valore economico di circa 44 mila miliardi di dollari “moderatamente o fortemente dipendente dalla natura e dai suoi servizi”, afferma un report del Word Economic Forum. La crisi della biodiversità rappresenta una minaccia a lungo termine per la sopravvivenza della specie umana”, ha spiegato al New York Times Katharine Hayhoe, ricercatrice della Nature Conservacy, di pari importanza rispetto alla crisi climatica. Le due emergenze sono legate tra loro. In futuro, gli scienziati prevedono che il surriscaldamento globale sarà il principale motore della trasformazione della vita sulla terra e della perdita di numerose specie. Per affrontare i fenomeni estremi che derivano dall’aumento delle temperature, ad animali e piante serviranno popolazioni numerose e spazi per migrare. Con l’aumento della popolazione mondiale però diventerà sempre più difficile tutelare le specie a rischio. L’inquinamento naturale, la caccia e i prelievi diretti degli esemplari, la diffusione di specie invasive e le pratiche intensive di allevamento e agricoltura, soprattutto nei Paesi meno abbienti, stanno già mettendo a rischio numerosi habitat. Trovare strategie efficaci per contrastare questo fenomeno, garantendo risorse e abitazioni anche alle comunità umane che li abitano, è la sfida più importante della Cop 15 di Montreal sulla biodiversità.