Dopo 30 ore di negoziati Parlamento europeo, Commissione e Consiglio si sono accordati sulla modifica del sistema Ets, la nuova carbon tax alla frontiera e il Fondo sociale per il clima. Il principio del "chi inquina paga" continuerà a non essere rispettato ancora per molto tempo, favorendo le industrie dell'acciaio, del cemento e della chimica. Secondo le ong ambientaliste di questo passo non si raggiungeranno gli obiettivi del pacchetto Fit for 55 e la Ue non farà abbastanza per contenere l'aumento delle temperature globali
Secondo la presidenza di turno del Consiglio europeo è “una vittoria per il clima” che “ci permetterà di raggiungere gli obiettivi nei principali settori dell’economia supportando al tempo stesso i cittadini più vulnerabili e le microimprese nella transizione”. Le ong ambientaliste smentiscono, spiegando che complice il massiccio sforzo di lobbying dell’industria energivora si è fatto troppo poco e troppo tardi. E che l’accordo sulla riforma del mercato europeo del carbonio (Ets), sulla Carbon tax alle frontiere (Cbam) e sul Fondo sociale per il clima raggiunto sabato notte da Parlamento europeo, Commissione e Stati membri continua a favorire i grandi inquinatori. Le industrie dell’acciaio, del cemento e della chimica continueranno infatti a ricevere quote di emissione gratuite fino al 2034, incassando secondo Carbon market watch l’equivalente di 400 miliardi di euro di sussidi. La percentuale di riduzione della Co2 richiesta ai settori coperti dall’Ets entro il 2030, poi, viene ritoccata al rialzo (dal 43 al 62%) ma non abbastanza se l’obiettivo è quello di contenere l’aumento delle temperature globali sotto la soglia limite degli 1,5 gradi.
Un passo indietro. Il sistema Ets dal 2005 fissa un tetto alla Co2 totale che può essere emessa e impone a chi lo fa di acquistare tante quote quante sono le tonnellate di Co2 che diffonde nell’atmosfera. La sua efficacia nel ridurre le emissioni è compromessa dal fatto che ancora oggi a pagare sono quasi solo gli impianti di produzione di energia, di cui è stata in questo modo incentivata la progressiva decarbonizzazione. Al contrario l’industria inquinante riceve appunto quote gratuite, con la giustificazione che altrimenti le aziende europee sarebbero meno competitive rispetto ai concorrenti stranieri e avrebbero la tentazione di delocalizzare. Nel luglio 2021 la Commissione ha proposto di riformare energicamente questo schema per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione dei gas serra del piano climatico dell’Ue. Coordinandolo con una “tassa alla frontiera” che renda più costose e dunque meno convenienti le importazioni provenienti per esempio da Cina o Turchia.
Based on the initial reports of the #CBAM and #EUETS deal agreed by the EU trilogues today, here is the handoff from dealing with carbon leakage risk via free allocation to addressing via border adjustment. A gentle start in 2026, no free allocation by 2034. pic.twitter.com/BaEeinZ1wZ
— Tennant Reed (@TennantReed) December 18, 2022
“Altri miliardi di euro di omaggi ai grandi inquinatori” – La settimana scorsa è arrivato l’accordo sulla carbon tax alla frontiera, che entrerà in vigore molto gradualmente dal 2023. All’ultima maratona negoziale tra le istituzioni, iniziata venerdì, era affidata la messa a punto del resto del pacchetto. Il principio ispiratore avrebbe dovuto essere che “chi inquina paga”, in modo da spingere le grandi imprese a investire per diventare più green. Ma il risultato finale è molto lontano da quello slogan. I permessi gratuiti a inquinare oggi concessi alle industrie ad alta intensità energetica (acciaio, cemento, chimica) scenderanno assai lentamente: -2,5% nel 2026, -10% nel 2028, -22,5% nel 2029 e così via (vedi il grafico nel tweet qui sopra). Arrivando a zero solo nel 2034. Si tratta di un compromesso meno ambizioso rispetto a quello votato la scorsa estate dall’Eurocamera, stando al quale l’azzeramento sarebbe arrivato nel 2032. Più di metà delle quote gratuite sarà eliminata solo dopo il 2030. “I co-legislatori hanno deciso di continuare a distribuire miliardi di euro di “omaggi” ai grandi inquinatori a spesa dell’azione per il clima e della decarbonizzazione”, ha commentato Camille Maury, funzionaria dell’European Policy office del Wwf. È vero che le quote gratuite saranno condizionate a investimenti nell’efficientamento energetico e in alcuni casi alla presentazione di “piani di neutralità climatica”, ma le aziende che non rispetteranno il requisito riceveranno comunque l’80% del “regalo”.
La riforma insufficiente per contenere il riscaldamento globale – Il sistema Ets viene poi riformato internamente: aumenta dal 43 al 62% l’obiettivo di riduzione delle emissioni nei settori sottoposti al sistema delle quote nel 2030 rispetto ai livelli del 2005. Il tetto massimo di emissioni consentite nell’Unione sarà per questo tagliato di 90 milioni di tonnellate di Co2 nel 2024 e 27 milioni nel 2026, oltre al fatto che le quote si ridurranno del 4,3% l’anno tra 2024 e 2027 e del 4,4% tra 2028 e 2030. Carbon market watch sottolinea che se l’Europa intende contribuire in modo efficace a mantenere sotto controllo il riscaldamento globale queste modifiche non bastano: le emissioni dovrebbero calare almeno del 70%.
Il sistema delle quote anche per trasporti e edifici – Il sistema delle quote si applicherà dal 2027 anche a benzina e diesel per il trasporto e al carburante per il riscaldamento degli edifici. Il nuovo Ets 2 comporterà quindi costi aggiuntivi per i cittadini, come paventato dall’Europarlamento che per questo motivo aveva proposto l’esclusione di case e trasporti privati almeno fino al 2029. Stando ad alcuni studi citati da Euractiv, i prezzi dei carburanti alla pompa potrebbero salire di 10-12 centesimi al litro. Per evitare pesanti ricadute sociali si è deciso di aumentare a 87 miliardi, alimentandolo anche con il 25% dei ricavi che deriveranno dalle nuove quote, la dotazione del Fondo sociale per il clima che dal 2026 interverrà a sostegno delle fasce più vulnerabili dando per esempio sostegni al reddito per affrontare i rincari, contributi per l’isolamento termico e sussidi per l’acquisto di veicoli a basse emissioni. Gli aiuti non potranno comunque superare il 37,5% dei costi totali del “social climate plan” in cui ogni Stato membro dovrà delineare le misure e gli investimenti che intende mettere in campo per attutire l’impatto del nuovo sistema.
In più è stato fissato un tetto al prezzo dei permessi, che fino al 2030 non potrà superare i 45 euro contro i 90 euro che sono il costo attuale di una quota di emissione sull’Ets principale (equivalente al permesso a emettere una tonnellata di Co2). Secondo i Verdi lo sforzo è insufficiente. Il Wwf aggiunge che “Parlamento e Consiglio non si sono accordati su una chiara esclusione dei combustibili fossili”, per cui “il fondo rischia di vincolare più a lungo chi non si può permettere soluzioni basate sulle energie rinnovabili e il risparmio energetico all’uso di energia costosa e inquinante“.