di Pietro Francesco Maria de Sarlo
Ci è scivolato sulla pelle, come se non riguardasse né noi, né la stampa né i maître à penser de’ noantri. Parlo dell’annuale rapporto del Censis che ci descrive malinconici, spaventati e, quel che è peggio, rassegnati. Un popolo sempre più povero e più vecchio preoccupato sia dal presente sia dal futuro, ma restio a cambiare: “Un paese che vive in uno stato di latenza”. Insomma, la situazione ci è sfuggita di mano e siamo morti. Il punto è che viviamo di menzogne da troppi anni. Ci avevano venduto l’euro e l’Europa come un mondo di frutta candita, dove l’importante sarebbe stato entrarci perché così avremmo imparato le buone maniere.
Per farlo abbiamo svenduto l’argenteria e persino le autostrade, che sarebbero state lastricate di nutella invece di puzzolente catrame perché il privato è meglio. Già! Al grido ‘lo chiede l’Europa’ abbiamo falciato pensioni, sanità, welfare e diritti perché così avremmo salvato il futuro dei nostri figli e i disastrati conti pubblici. Si sa i figli so’ piezz’ e core e ci siamo applicati ad attuare l’elenco che, nientepopodimeno, il neogovernatore della Bce Mario Draghi il 5 agosto 2011 ci aveva dato.
E se lo diceva Draghi occorreva obbedire perché lui è il migliore. Purtroppo, come ci disse il ministro Pier Carlo Padoan del governo Gentiloni, nella primavera del 2017 in un allegato del Pnrr, quei compiti non solo non avevano risanato nulla, ma ci erano costati ben 300 miliardi di Pil solo dal 2012 al 2015. Nella sua ultima esternazione al Senato, sempre Draghi, ci aveva spiegato che per prendere i dollaroni del Pnrr occorreva liberalizzare arenili e taxi e scassare la già scassata giustizia e liberalizzare i servizi pubblici locali. Per fortuna il governo cadde perché ora sappiamo che invece per risolvere i problemi dei 2.700 e passa miliardi di debito pubblico basta aumentare l’argent de poche e disattivare pos e bancomat.
Siamo sicuri che questa sia la via? Ora ci propinano l’idea della autonomia differenziata che dovrebbe rendere più efficiente il sistema. In Lombardia la spesa pubblica per la sanità è di circa 2.500 euro pro capite anno, in Campania di 1.600. Dipenderà da questo la migliore qualità della sanità lombarda rispetto a quella campana? Anche se con il Covid non pare che sia stata così efficiente. Secondo il monitoraggio della spesa sanitaria, pubblicato nell’agosto 2020 dal Mef, nel 2019 la sanità campana ha chiuso con un avanzo di gestione di 38 milioni, quella lombarda di 3 e sul Covid ha tenuto botta. Perché dare gli stessi soldi che danno ai lombardi visto che i campani con così poco fanno così tanto?
La realtà delle cose è che l’autonomia differenziata, promossa inter alia da Stefano Bonaccini che si propone come il definitivo picconatore del Pd, significa la secessione. Si vuole codificare per sempre un sistema dove chi più ha avuto continui ad avere di più. Sarà sempre più difficile riconoscersi in una unica comunità. A salvare tutto dovrebbe provvedere il Pnrr, in specie al sud. In effetti nei prossimi 5 anni al sud per ogni cittadino pioveranno quasi 200 euro in più rispetto ai compatrioti del nord. Negli ultimi dieci anni e ogni anno al sud, isole comprese, ogni cittadino ha ricevuto l’equivalente di ben 4.500 euro circa in meno rispetto ai padani e cispadani. Per non parlare di bazzecole come la completa assenza di infrastrutture sotto il Garigliano.
Solo questo il problema del Pnrr? Magari. Al nord come al sud si perpetua il meccanismo dei fondi europei per cui il bravo amministratore, con una inversione della logica comune, invece di individuare necessità e fabbisogni e poi trovare i mezzi finanziari guarda a cosa sono destinati i finanziamenti e poi arraffa quello che può. Sono previsti finanziamenti per le stalle? E stalle siano, anche se i buoi sono già scappati da un pezzo. Manca la visione del Paese e del suo ruolo nel mondo. Idee in giro poche e nessuna voglia di interrogarsi sul futuro (Fonte dei dati Cpt e Italiadomani).