Leo ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta ad essere Leo Messi, semplicemente. Nè Diego o “meglio di Diego” o “meglio di Cristiano Ronaldo”: chissenefrega. Messi ha vinto il mondiale nel momento esatto in cui, forse anche per un discorso di età, si è potuto permettere di essere semplicemente Leo Messi. E più che richiamare Maradona verrebbe da pensare a Jep Gambardella e al suo “quando ho compiuto 65 anni ho capito che non posso più permettermi di perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Ecco, a 35 anni Messi ha capito che non poteva più permettersi di essere chi volevano che lui fosse. E ha vinto. Ha vinto la coppa più importante.

Ha vinto con la serenità dei 35 anni, che si è rivelata un elemento più decisivo rispetto allo smalto dei tempi migliori: era ovviamente un altro giocatore Messi negli altri quattro mondiali che ha giocato, magari acerbo nel 2006, ma uno splendore nel 2010, nel 2014 e nel 2018. Questa volta Leo ci è arrivato con la tara degli anni evidentemente meno pesante rispetto a quella della testa: conti chiusi col passato, con ciò che gli veniva chiesto e con ciò che doveva essere, portandosi addosso il peso di una nazionale intera, limitandosi ad essere ciò che è.

E ha vinto con l’Argentina forse meno talentuosa in cui ha giocato: nel 2006 aveva accanto Tevez, Crespo, Riquelme, Aimar, Milito, nel 2010 c’erano Di Maria, Tevez ancora, Veron, El Kun Aguero, e nel 2014, quando arrivò in finale pur senza brillare aveva accanto ancora Aguero, Gago, Higuain, Mascherano, El Pocho Lavezzi, idem nel 2018 mettendoci dentro anche Dybala, Lo Celso. E paradossalmente ha vinto quando Scaloni, che di Messi era compagno di squadra nel 2006, è andato contro il principio dei quattro mondiali precedenti secondo cui Messi più altri indiscutibili talenti sarebbero bastati per regalare calcio e annichilire gli avversari: l’ha messa su contro l’Arabia Saudita questa ricetta della tradizione e gli è uscita malissimo, e ha avuto il coraggio di cambiarla.

Fuori Di Maria (salvo in finale), fuori il Papu Gomez e fuori Paredes: dentro Julian Alvarez, Alexis Mac Allister e soprattutto Enzo Fernandez. Intendiamoci: talenti pazzeschi, in particolare Alvarez e Fernandez, ma di una generazione diversa e con una filosofia di gioco diversa, capace di andare ad attaccare gli spazi e liberarsi della palla velocemente invece che mantenerla e prodursi in un palleggio in cerca della giocata vincente rivelatosi, nella gara persa all’esordio contro l’Arabia Saudita, sterile e dannoso. L’unico ad avere licenza di tener palla, dunque, era Leo: e da lì ha iniziato a librarsi nel campo, a divertirsi e a esaltare quei giovani affamati di pallone e dello stesso Leo, gli stessi che da bambini gli chiedevano i selfie quando vedevano il mito assoluto della loro generazione. E un mito resta mito quando ci giochi insieme, anche se pensi che potresti diventare più forte di lui, anche se qualcuno dice che lo sei diventato: d’altronde lo stesso Leo rispetto al suo mito ha chiuso la questione, dal canto suo, con un “non sarò mai come lui”.

Libero, e con tutti i compagni a giocare con lui e per lui Messi ha messo in fila capolavori: contro il Messico, contro l’Australia, sublime contro l’Olanda, in versione mistica contro la Croazia. Con in mezzo anche episodi come quello contro il Messico o il “que miras Bobo” contro l’Olanda che non tolgono né aggiungono nulla alla dimensione del campione e resterebbero nulla se non fossero fastidiosi argomenti a servizio di quelli che la puntualità nel lavarsi i denti prima di andare è letto è elemento più virtuoso della mano di un Caravaggio. O di Dios, che dir si voglia. La finale diventa il palcoscenico finale: giocata allo stesso tempo con grandissima serenità ma anche con una cattiveria che Leo non aveva mai mostrato. A ben vedere, forse l’unico elemento per evocare Maradona è la valutazione che il Pibe fece del calcio a Rosario, quando vestì la maglia del Newell’s: a chi gli diceva che era il miglior giocatore passato per quella città, Diego rispondeva che in realtà quel titolo spettava a Carlovich. Oggi sia El Pibe che El Trinche probabilmente prenderebbero in considerazione una terza opzione.

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