di Sirio Zolea*

Le norme di matrice europea pervadono aree sempre più importanti della vita collettiva e incidono sui diritti di ogni cittadino, sicché le carenze e le problematicità del legislatore euro-unitario appaiono via via più gravi, mentre nel dibattito pubblico, quantomeno italiano, si tende a parlarne sempre meno. Solo in occasione di gravi scandali, come quello che occupa le prime pagine dei giornali in questi giorni, con fenomeni di corruzione di alto livello nel Parlamento Europeo, si torna a riflettere su quello che non va nelle istituzioni comuni che l’apparato mediatico dominante ci presenta come altamente democratiche, magari tanto più dei “vecchi” parlamenti nazionali.

Ma i problemi del legislatore europeo sono assai profondi e attengono prima di tutto alla sua stessa struttura, con un Parlamento persino sprovvisto di iniziativa legislativa, un po’ come agli albori del percorso di sviluppo della democrazia parlamentare, quando le assemblee (più o meno) rappresentative potevano solo approvare o rigettare le proposte del sovrano e del suo governo.

Questo remoto legislatore europeo, lontano dai popoli, lontano dagli standard democratici delle costituzioni novecentesche, dal passato dell’Ancien Régime fa rivivere anche la logica del diritto octroyé elargito dall’alto della sua benigna volontà di sovrano illuminato. Tutti i più importanti diritti ottenuti dal dopoguerra in poi (“scala mobile” per salari e pensioni, statuto dei lavoratori, sicurezza sul lavoro, sanità pubblica, istruzione universale, ecc.) erano stati il frutto di una pressione dal basso, di lotte popolari: essi si erano concretizzati come risposte di compromesso della classe dirigente di allora disposta a concedere molto pur di evitare esiti rivoluzionari che ne potessero mettere in discussione l’esistenza stessa.

Il diluvio di diritti che proviene dal legislatore europeo, a partire dall’ampia normativa sui dati personali, che permette alla retorica pubblica di presentare il nostro tempo come un momento di grandi progressi per le condizioni di vita del popolo è in realtà quanto mai lontano dai bisogni percepiti dalla gente comune, impoverita, precarizzata, rassegnata e rabbiosa (e, in quanto tale, additata come hater solo a me l’espressione fa pensare al fascistissimo reato di istigazione all’odio di classe, finalmente ridimensionato dalla Corte costituzionale solo nel 1974?), orfana dei corpi intermedi in cui riusciva a organizzarsi per far valere le proprie rivendicazioni.

Pregevoli teorizzazioni come quelle del compianto Stefano Rodotà non sono bastate a rendere del popolo e per il popolo costruzioni normative elaborate lontano da qualsiasi mobilitazione popolare avendo comunque presente in primo luogo logiche di mercato e offerte come le leggendarie brioches di Maria Antonietta a persone che vorrebbero invece di nuovo piena occupazione, salari e pensioni dignitosi, istruzione e sanità ben finanziate e svincolate da logiche aziendaliste, ecc. Tutto ciò che la smania euromercatista ha annientato in pochi anni, a onor del vero nelle mani di una classe dirigente così euroservile da andare spesso persino oltre i diktat espliciti di Bruxelles.

Sul “che fare?” è difficile dare risposte certe. Di abbastanza evidente c’è solo che non colgono nel segno le proposte degli entusiasti che ai disastri dell’Europa, alle rovine de “l’Europa ce lo chiede”, vorrebbero rispondere con “più Europa”, nell’idea di poter rendere più solidali e più democratiche delle istituzioni che sono state strutturalmente forgiate per ridurre gli spazi di solidarietà e di democrazia scollegate da un demos a cui rendere conto, impermeabilizzate a qualsiasi pressione popolare organizzata in corpi intermedi, ma abituate a procedere attorniate da sciami di lobbysti con cui, essi soli, le proposte normative sono negoziate.

Probabilmente occorre rimboccarsi le maniche sapendo che la strada è lunga e che, ancora una volta, come ai tempi di Mazzini e Garibaldi, come ai tempi della lotta partigiana, la sovranità democratica dei popoli europei non è una conquista alle nostre spalle, da difendere, bensì un obiettivo da conquistare, in primis contro il riformarsi dello spettro reazionario dei poteri universali, dell’antica idea dell’Impero che, cruentemente, nelle vicende dell’Ottocento per noi italiani aveva il volto del tiranno asburgico, in quelle del Novecento il volto del Reich invasore e oggi, per molti versi, si ripropone sotto le mentite spoglie (arcobaleno) dell’Unione Europea.

*Ricercatore universitario di diritto comparato

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