La vittima, 26 anni, fu sgozzata e fatta a pezzi nella sua abitazione di Rescaldina (Milano). I resti furono gettati sul dirupo dopo che l'uomo aveva tentato di dargli fuoco e messi in un congelatore
L’accusa e la parte civile si erano opposti, ma la Corte d’Assise di Busto Arsizio ha disposto la perizia psichiatrica per Davide Fontana, il 42enne milanese a processo per l’omicidio di Carol Maltesi, 26 anni, sgozzata e fatta a pezzi nella sua abitazione di Rescaldina (Milano). I resti furono gettati sul dirupo. I resti della ragazza, mamma di una bimbo piccolo, fu possibile grazie a un passante che aveva notato quattro grande buste neri. L’uomo ne aprì uno e trovo i pezzi del cadavere. Gli investigatori allora avevano deciso allora di pubblicare un comunicato in cui si descrivevano alcuni tatuaggi ancora parzialmente visibili sul corpo della donna, che ne avevaconsentito l’identificazione. L’incarico peritale verrà conferito ad uno specialista, nominato perito dalla stessa Corte, a gennaio.
Nelle scorse udienze l’imputato aveva parlato del delitto: “Non so perché l’ho fatto, volevo suicidarmi”. Ai giudici aveva raccontato aver impiegato “tre o quattro” giorni per farla a pezzi, per poi nascondere i resti in un congelatore comprato su Amazon, prima di gettarli in una zona isolata a Breno, in provincia di Brescia, dove furono stati poi ritrovati. Secondo quanto ricostruito grazie alle indagini e alle testimonianze dei carabinieri che hanno indagato, era stato Fontana a creare un account fasullo con cui chiedere alla vittima un video hard per Only Fans con mani, piedi e bocca legati, pochi giorni prima che lei lasciasse Rescaldina. Dopo il ritrovamento dei resti di Carol, Fontanaaveva spiegato di aver pensato di andare dai carabinieri: “Volevo andare lì, dire che quei resti erano suoi, tornare a casa e suicidarmi. Mi odio per quello che ho fatto”, ha aggiunto.
Fontana aveva raccontato agli inquirenti di aver colpito la donna con un martello durante un gioco erotico con una confessione choc: “Non so che cosa sia successo. Lei si muoveva con la testa ed io continuavo a colpirla ma non so bene dove perché aveva il sacchetto in testa. A questo punto, resomi conto di cosa avevo fatto, le ho tolto il cappuccio e credo che fosse morta. Mi son reso conto di averle procurato molte ferite dalle quali perdeva molto sangue. Credo che fosse già morta ma, non sapendo che altro fare, le ho tagliato la gola con un coltello da cucina a lama liscia che poi ho buttato in un cestino dell’immondizia a Rescaldina. Mi è sembrato che fosse un atto di pietà, vedevo che stava soffrendo e ho concluso le sue pene tagliandole la gola” le parole nel lungo interrogatorio che lo portò al fermo. Quando il giudice per le indagini preliminari convalidò il fermo ed emise l’ordinanza di custodia cautelare spiegò che l’uomo aveva agito con “indomita ferocia e assenza di compassione umana” perché lei voleva trasferirsi e stare più tempo con il figlio.