Che cosa ci lasciano in eredità questi Mondiali. Il titolo dell’Argentina, l’impresa straordinaria del Marocco, l’ultima volta di Messi e Ronaldo. Un’altra pagina dell’albo d’oro. Ma questo fuori dal campo non è stato un torneo come gli altri: il primo Mondiale d’inverno, il primo in un Paese arabo, un’edizione unica, nel bene e nel male, dagli stadi con l’aria condizionata alle telecamere di sicurezza accese 24 ore su 24, che Il Fatto.it ha raccontato in tutte le sue contraddizioni. Troppe, perché rimanesse solo una festa, come ogni manifestazione sportiva dovrebbe essere.
I diritti umani calpestati nei cantieri e nei confronti della comunità Lgbt, i sospetti di corruzione, nemmeno tanto infondati visti i recentissimi sviluppi del Qatargate al Parlamento europeo, tutte le polemiche che hanno accompagnato queste quattro settimane di calcio. Con il peccato originale di quella maledetta assegnazione nel 2010, frutto dell’avidità della Fifa, la complicità delle istituzioni e di buona parte dei media che hanno preferito chiudere un occhio e a volte pure due, sull’altra faccia di questi Mondiali. Ma Qatar 2022 evidentemente non ha insegnato nulla: in futuro la Fifa è pronta a fare anche peggio, assegnando magari i Mondiali del 2030 all’Arabia Saudita, e ancora prima, già nel 2026, trasformando il torneo in un baraccone da 48 squadre e addirittura 104 partite totali.
Si dice che la storia si ripete sempre due volte: la prima come farsa, la seconda come tragedia. Non resta che aspettare qualche mese per averne la conferma. Nel 2024, il congresso Fifa si riunirà per assegnare l’edizione del 2030. Il processo è cominciato ufficialmente quest’anno e al momento ci sono già tre candidature confermate: quella sudamericana di Argentina e Uruguay, allargata a Cile e Paraguay, con poche chance considerando che nel 2026 si giocherà in Nordamerica; quella di Spagna e Portogallo, a cui si è aggiunta la partecipazione di bandiera dell’Ucraina (in segno di solidarietà contro l’aggressione russa), sostenuta dalla Uefa perché altrimenti l’Europa si ritroverebbe a non ospitare la Coppa per almeno sedici anni, mai successo nella storia. Ma ad oggi i rumors danno per favorita l’Arabia Saudita, che si presenta insieme a Egitto e Grecia, ma soprattutto con una vagonata di miliardi, l’argomento da sempre più convincente per la Fifa. L’Arabia ha già iniziato a raccogliere proseliti, assoldare testimonial d’eccezione come Messi (e lo stesso Cristiano Ronaldo, a cui è stata recapitata un’offerta monstre da oltre 200 milioni l’anno), sviluppando tecnologie mirabolanti e preparando piani di investimento faraonici, seguendo l’esempio di successo dei vicini di casa. Se però il Qatar aveva conquistato l’occidente col suo volto rassicurante e progressista, i cugini sauditi non salvano nemmeno le apparenze, come dimostra la vicenda dell’omicidio di Jamal Kashoggi: l’Arabia sul piano dei diritti umani è un Paese ancora più arretrato, una sfida impossibile da vincere anche per la faccia tosta di Gianni Infantino. Vedremo se dopo tutto quello che è successo in Qatar, la Fifa avrà davvero il coraggio di portare la manifestazione in Arabia Saudita, e quali saranno eventualmente le reazioni del mondo del calcio.
Per toccare con mano la prossima follia dei padroni del pallone, comunque, non servirà aspettare così tanto. Prima del 2030, già nel 2026, assisteremo alla nuova formula dei Mondiali. Qatar ’22 è stata l’ultima volta della Coppa come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 25 anni. Se nel ’98 le partecipanti erano passate da 24 a 32, fra quattro anni diventeranno addirittura 48. Una riforma fortemente e personalmente voluta dal presidente Infantino, contro il parere della sua stessa commissione che aveva suggerito un ampliamento a 40 nazionali, che lascia enormi perplessità. Innanzitutto perché nessuno, nemmeno la stessa Fifa, ha ancora capito come distribuirle: inizialmente si era parlato di 16 gironi da tre squadre, con incontri senza pareggio (in caso di parità rigori al 90’) e le prime due qualificate ai sedicesimi. Adesso prende piede l’ipotesi alternativa di mantenere i gruppi da quattro, ripescando però addirittura le 8 migliori terze per comporre il tabellone a 32 degli scontri a eliminazione diretta. In un caso o nell’altro, rischia di essere un guazzabuglio calcistico. Di sicuro aumenteranno gli incontri, intasando ulteriormente il calendario internazionale. Ma soprattutto rischiano di aumentare gli incontri brutti. Già questa edizione ha messo in mostra contenuti tecnici davvero poveri, frutto soprattutto della paura dell’eliminazione, oltre a palesare l’inadeguatezza di alcune formazioni al palcoscenico mondiale, su tutte quella dei padroni di casa. Ma quanti Qatar ci saranno fra quattro anni, in una formula che qualificherà addirittura 9 africane, 8 asiatiche e 8 nordamericane (oggi sono rispettivamente 5, 5 e 3)? Il pericolo di trasformare l’intera prima fase in una sessione di allenamento per le nazionali più forti è concreto, e ci rimetterebbe lo spettacolo. In nome del potere (il consenso politico che Infantino ha costruito intorno a sé grazie alle confederazioni minori) e dei soldi. Più o meno il film già visto con Qatar 2022. Una lezione, che non abbiamo imparato.