Nel 2017, a 82 anni, Lando Buzzanca che ieri ci ha lasciati per sempre aveva girato Chi salverà le rose?, diretto dall’esordiente Cesare Furesi, accanto a un altro grande vecchio del cinema italiano, Carlo Delle Piane, che allora ne aveva 81. Una storia insolita, un amore fra due anzianissimi gay che destò persino qualche polemica da parte di qualche imbecille ‘della destra’ (e pensare che Buzzanca s’è sempre dichiarato uomo di destra).

Non era certo un gran film, coraggioso però, e fatto con quattro lire (se ne potranno fare ancora dopo la cancellazione da parte dell’attuale governo del Tax Credit per le piccole e micro imprese cinematografiche e audiovisive italiane con capitale sociale inferiore a 40.000 euro?).

Tenuto in piedi dalla professionalità di Buzzanca e Delle Piane (che morirà due anni dopo, nel 2019), Chi salverà le rose? è stata l’ultima prova d’attore per Buzzanca (e per Delle Piane). Mi dilungo su questo film perché il personaggio di Buzzanca è quello di un anziano ridotto malissimo, cronicizzato in un letto d’ospedale, ormai quasi a fine vita, e mi ha portato alla mente il Buzzanca vero che ha subito la stessa sorte, morendo nella casa di riposo romana Villa Speranza (sic).

Una vicenda tristissima, insomma, quella di Buzzanca, come triste è sempre la vecchiaia di un malato, certo, ma ancor più quella di un attore come lui, i cui personaggi, nell’immaginario collettivo, sono quasi sempre stati, negli anni eroici della sua carriera, scatenati e autoironici maschi, affiancati dalle più belle donne del cinema 60 e 70, tipologie d’uomo oggi azzerate dal politicamente corretto, spesso macchiettistiche, come l’imbranato Rosario Mulé, fidanzato della sorella di Mastroianni, in Divorzio all’italiana (’61) di Pietro Germi, il film d’esordio di Buzzanca, se non consideriamo la sua fugace comparsata come schiavo nel Ben-Hur (’59) di William Wyler.

Palermo, sua città natale, non offriva certo granché negli anni 50 a chi volesse fare cinema, anche se la famiglia di Lando (diminutivo di Gerlando) vantava tradizioni attoriali di provincia (papà e zio). Era Roma la sua meta. Dopo una parte ne I giorni contati (’62), splendido film di Elio Petri con il grande Salvo Randone, Buzzanca bissa con Germi in Sedotta e abbandonata (’64) dove, membro della famiglia siciliana Ascalone, è costretto dal padre a una (fallita) missione omicida per questioni d’onore. Lo stesso anno passa dalla Sicilia al Monte Bianco per interpretare un minatore (parte seria) in Senza sole né Luna, una sorta di mockumentary, come si chiamerebbe oggi. Il primo ruolo da protagonista arriva nel ’67 con Don Giovanni in Sicilia di Alberto Lattuada, tratto dal romanzo di Brancati.

Il Buzzanca più amato dal pubblico entra in scena, però (dopo Il magnifico cornuto, ’64, di Pietrangeli, con Tognazzi e Cardinale) negli anni a partire dal ’65, con una vera e propria valanga di film (in totale una novantina…), senza considerare teatro e tv. Ricordo le parodie di Bruno Corbucci, con il quale ha lavorato moltissimo (ad esempio, nelle versioni comico-italiche di 007 con i due James Tont); Per qualche dollaro in meno (remake ridicoleggiante del capolavoro di Sergio Leone) diretto da Mattoli; e poi La prima notte del dottor Danieli, industriale, col complesso del… giocattolo (’70) del catanese Grimaldi, tragicomica vicenda di un ‘macho’ siciliano impotente con la consorte e potente con le escort. Cavalcando certi miti di quegl’anni ecco quello della Scandinavia dai liberi costumi con Il vichingo venuto da sud (’71) di Steno o dell’immacolato politico Dc che, invece, tocca il sedere alle signore ne Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne di Lucio Fulci (inizialmente sequestrato, poi tagliato e vietato ai 18 per un poco velato riferimento – Buzzanca era somigliantissimo, truccato ad hoc – all’ex presidente del consiglio Emilio Colombo).

O ancora la ragazza esotica ergo remissiva con La schiava io ce l’ho e tu no di Giorgio Capitani (’73); e non manca il genere sexy dove Lando affianca la spogliatissima Gloria Guida ne Il gatto mammone (’75) di Nando Cicero. Con Laura Antonelli aveva girato, nel ’71, Il merlo maschio, tratto dal racconto Il complesso di Loth di Luciano Bianciardi) dove interpretava un violoncellista professionalmente frustrato che compensava mostrando le abbondanti grazie della moglie.

Quando morì la Antonelli, Buzzanca mi confessò di essere addolorato della brutta fine dell’attrice e di sentirsi in colpa per non essere andato a trovarla, anche se aveva saputo di un suo tentato suicidio. Eppure anche lui aveva tentato di togliersi la vita, per sua stessa ammissione, tre anni dopo la morte della moglie Lucia Peralta, nel 2010, che gli era stata accanto per 57 anni. Ma il tentativo di tagliarsi le vene fallì, aveva raccontato. L’incontro con una nuova compagna, Francesca della Valle, 35 anni meno di lui, sembrava averlo riportato alla vita. Poi il ricovero nella Residenza Sanitaria Assistenziale ottenuto dall’amministratore di sostegno anche a causa delle condizioni di “declino cognitivo” dell’attore e persino una ventilata denuncia del figlio Massimiliano al medico dell’attore, Fulvio Tomasselli, che rese pubblico, a suo dire, lo “stato di denutrizione e deperimento”. Cose tristi. Per fortuna Buzzanca verrà ricordato come il poliedrico e vitale attore che è stato. E, per un attore, è il pubblico che conta.

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