L'articolo 69 contenuto nelle prime bozze della legge di Bilancio approvate in consiglio dei ministri il 21 novembre era del tutto diverso rispetto alla versione inviata alla Camera, che sembrava scritta apposta per entrare in rotta di collisione con la Commissione. E infatti così è andata, fino alla retromarcia del governo
Un’altra “manina“? Per ora nessuna fonte di governo ha commentato l’iter che ha costretto Giorgia Meloni alla clamorosa marcia indietro sulla misura che avrebbe consentito ai commercianti di non farsi pagare con carte o bancomat per transazioni sotto i 60 euro. Ma l’evoluzione della norma sul pos, oggetto delle critiche dell’opposizione, di Bankitalia e della Commissione europea ma difesa strenuamente dalla premier e dai ministri fino alla resa, è interessante. L’articolo 69 contenuto nelle prime bozze della legge di Bilancio approvate in consiglio dei ministri il 21 novembre era del tutto diverso rispetto alla versione bollinata inviata alla Camera, che sembrava scritta apposta per entrare in rotta di collisione con la Commissione europea. Perché violava platealmente una delle milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quella che prevedeva entro la fine del primo semestre 2022 “efficaci sanzioni amministrative in caso di rifiuto di accettare pagamenti elettronici” e che era stata rispettata dal governo Draghi con il decreto Recovery bis.
Il testo in circolazione dopo il via libera del governo, datato 23 novembre, interveniva infatti sul decreto Crescita di Monti (ottobre 2012) modificando la prima parte del comma 4 dell’articolo 15. Si tratta dell’articolo che per la prima volta ha introdotto in Italia l’obbligo – rimasto solo sulla carta fino alla scorsa estate – di accettare pagamenti elettronici con l’unica eccezione dei “casi di oggettiva impossibilità tecnica“. La bozza della manovra aggiungeva dopo quelle parole un’altra frase: “Nonché, limitatamente alle transazioni di valore inferiore ai 30 euro, nelle ipotesi individuate con decreto del Ministro delle imprese e made in Italy, di concerto con il Ministro dell’economia, da adottare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento, che stabilisce criteri di esclusione al fine di garantire la proporzionalità della sanzione e di assicurare l’economicità delle transazioni in rapporto ai costi delle stesse”. Un escamotage con cui, agendo sull’obbligo e non direttamente sulle multe, si evitava di fare un passo indietro sulla riforma dell’amministrazione fiscale M1C1-101 concordata con Bruxelles.
Se la norma fosse rimasta in quella forma, è probabile che la Commissione avrebbe potuto non ritenere violato quell’impegno. Ma nel giro di pochi giorni il testo è stato modificato: quello datato 27 novembre, che due giorni dopo avrebbe ricevuto la bollinatura della Ragioneria per essere poi inviato al Parlamento, era più breve e andava a cambiare il comma 4-bis, quello che dal 30 giugno 2022 ha appunto previsto una sanzione di 30 euro più il 4% del valore della transazione “nei casi di mancata accettazione di un pagamento, di qualsiasi importo, effettuato con una carta di pagamento”. La manovra inviata alla Camera sostituiva le parole “di qualsiasi importo” con “di importo superiore a 60 euro”. La cifra raddoppia rispetto alla versione precedente, ma a guardar bene il cambiamento più rilevante è che non si limita più l’obbligo di accettazione della carta ma si interviene direttamente sulle multe. Proprio l’oggetto della milestone del Pnrr.
Una mossa che sembra pensata a tavolino per andare allo scontro. Per trattare su altro, per esempio gli altri aspetti della manovra bocciati da Bruxelles o i 15 obiettivi del 2022 ancora da raggiungere? O per fare in modo che, alla fine, l’unica via di uscita possibile fosse la soppressione della norma?