“Somos Argentinos”, la frase che ieri, nel tripudio pre e post finale del mondiale di calcio, si sentiva ripetere dai napoletani che, unitamente ai tanti turisti e tifosi argentini, sono scesi in piazza per festeggiare la fratellanza con il popolo de la Plata. Ma non sono mancati i riferimenti, ironici e sotto forma di pungenti motteggi e scherni, al valore della gioia provata, spesso considerata uguale o superiore a quella del 2006 quando l’Italia vinse la Coppa del mondo.
Apriti cielo! Blasfemia e attentato alla lesa maestà del tricolore, quando non riprovevole ed ironico disgusto per la difesa delle volgarità espresse dai calciatori argentini (Martinez e De Paul su tutti), sono le accuse dell’opinione pubblica (e anche di qualche organo di informazione) che si stanno manifestando in queste ore soprattutto sui social network.
Basta.
Il calcisticamente corretto, versione comunque meno convenzionale del politicallly correct, è diventato insopportabile.
Il calcio è governato dalla pancia dei tifosi (dei calciatori e dei dirigenti). Condanno ogni tipo di volgarità violenta ma non soffocate la “derisione” tipica del tifo. Deridere, sfottere, prendere in giro o scherzare pesantemente altro non è che un “portare a galla” sentimenti intimi. Perché, per rendersene conto, non si utilizzano gli stessi parametri di giudizio (per scandalizzarsi) quando tra giornalisti, anche in trasmissioni radiofoniche e televisive, non ci si risparmia in lazzi e canzonature anche triviali?
Addirittura ci sono studi di psicologia sociale che affermano che lo sfottò sia sempre un sintomo di libertà intellettiva, di necessità di espressione, di una forma culturale (si, culturale) che trova sfogo nello scherzo, essendo questo il solo mezzo socialmente consentito per sbollire un po’ la cattiveria che cova all’interno dei cuori degli esseri umani. Scherzare, ad ogni modo, può essere divertente, ma richiede un rilevante senso del limite. Molti confondono la franchezza e la mancanza d’ipocrisia, che sono dei corretti valori, con la maleducazione e il celebre “bidone della spazzatura al posto del cuore”, come ebbe a definire un odiato arbitro il simpatico (!!!) Buffon.
Ma, da qualche tempo, chissà perché, il “politicamente corretto” è divenuto la stella polare dei nostri comportamenti. Una moda? Il ritorno di una moda è sempre mescolato a una certa nostalgia; in certi casi anche a un vago senso di colpa in chi, riaprendo gli armadi, si accorge di aver dimenticato di metterci la naftalina. Ma qual è l’ambito semantico in cui opera l’espressione “politicamente corretto”? È forse una forma linguistica di ipocrisia per dissimulare in pubblico ciò che pensiamo in privato? Oppure, ancor peggio, una forma linguistica per simulare in pubblico idee, per le quali in privato nutriamo il più viscerale interesse? Tra un po’ ci si rivolgerà ai tifosi di stadio più caldi come si fa con gli animali, quelli meno addomesticabili. Prendiamola a ridere perché ormai la repressione delle colorite espressioni delle tifoserie sta assumendo contorni inquietanti.
Insomma, adesso anche il più classico dei “pezzi di m…”, coro rivolto ai calciatori e ai tifosi avversari, diventa motivo di fastidio. Di più, diventa motivo di discriminazione territoriale.
Veramente un colpo di genio, una tragicommedia che farebbe ridere se non facesse piangere. E pensare che ci sono alcuni che hanno sposato la linea federale, “finalmente si puniscono i maleducati”, o altri convinti che la discriminazione territoriale possa essere tale anche nella stessa regione – ma anche tra vicini di casa, aggiungiamo noi, o condomini dello stesso palazzo!
Quando non si sfocia nella violenza che, ripeto, condanno, in maniera più decisa del footbally correct, lasciate in pace la splendida amicizia tra napoletani e argentini. Ora simpaticamente, orgoglioso di aver previsto la vincente del mondiale, posso sfottere un po’ un mio amico francese o mi fate una multa?