Dalla frutta alla verdura che portiamo a tavola, dal vino ai cereali integrali: su oltre quattromila campioni di alimenti di origine vegetale e animale analizzati nel 2021, se quelli irregolari rappresentano appena l’1% (in lieve diminuzione rispetto al 2020), solo il 54,8% risulta però senza residui di pesticidi. In più del 44% dei campioni, invece, sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci, tra monoresiduo (14,3%) e multiresiduo (29,8%), seppur nei limiti di legge. La frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. È il risultato dell’indagine ‘Stop pesticidi nel piatto’ elaborata da Legambiente per fare il punto della situazione sui fitofarmaci presenti negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole degli italiani. Sono novanta le sostanze attive rintracciate. Il report, tra l’altro, arriva nel giorno in cui il Consiglio Agrifish valuterà la necessità di un’ulteriore valutazione di impatto della proposta di regolamento della Commissione europea per il dimezzamento dei pesticidi in Europa. In pratica, nel giorno in cui si potrebbe bloccare l’ambizione della proposta sotto le pressioni di diversi Paesi, tra cui l’Italia, come ricorda Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente. “È di fondamentale importanza approvare il regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci (SUR) presentato lo scorso 22 giugno dalla Commissione europea – spiega – e che prevede obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi legalmente vincolanti per gli Stati membri, a oggi a rischio a causa di continue richieste di rinvii da parte di alcuni Paesi tra cui l’Italia”.
Aumentano i campioni con tracce di pesticidi. Ecco i cibi più colpiti – Diminuisce, quindi, la percentuale dei campioni trovati senza residui di pesticidi. Lo scorso anno, infatti, era a quota 63%. E se la frutta è la categoria più colpita, nel caso della verdura, il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui. Da segnalare l’uva da tavola, le pere e i peperoni: in quasi il 92% dei campioni di pere analizzati sono stati rilevati fino a 22 diverse categorie di fitofarmaci, mentre è stata riscontrata la presenza di almeno un pesticida in oltre l’88% dell’uva e il 60,6% dei peperoni analizzati, i più colpiti tra le verdure, con 38 categorie di fitofarmaci riscontrate. In particolare, sono stati analizzati un campione di uva con 14 residui, uno di pere con 12 residui, uno di peperoni con 10. Dai dati EFSA, risulta campionata anche una fragola proveniente dall’Unione europea con 35 diversi residui. I pesticidi più presenti sono l’Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram. Legambiente segnala, però, anche i residui di Thiacloprid trovati in due campioni di miele, in uno di pesca e in uno mela e di Imidacloprid trovati in 34 campioni tra albicocche, arance, banane, carciofi, mandarini, peperoni, uva e pomodori. In entrambi i casi, infatti, si tratta di fitofarmaci revocati dal mercato dal 2020. A destare preoccupazione anche i residui di DDT in due campioni di derivazione animale (tessuto adiposo di cavallo e di bovino).
I prodotti trasformati e il caso del miele – Il 57,9% dei campioni di prodotti trasformati risulta regolare e senza residuo. Il 41,4%, invece, contiene uno o più residui. In questa categoria, vino e cereali integrali sono quelli con le maggiori percentuali di residui permessi, contando rispettivamente quasi il 62% e il 77,7%. Per quanto riguarda il miele, in particolare, nella maggior parte dei campioni non sono stati riscontrati residui (67,5%), mentre due campioni sono risultati irregolari a causa del superamento del limite. I pesticidi più frequenti sono l’erbicida Glifosato (27,9%), N (2,4 Dimethylphenyl) Formamide (17,6%) e Amitraz (14,7%). Si segnala, inoltre, la presenza di due neonicotinoidi: Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e Acetamiprid ancora permesso, ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api.
Oltre il 91% del biologico è senza residui di pesticidi – Tutto questo mentre, in riferimento al biologico, oltre il 91% dei campioni risulta regolare e senza residui e non sono stati trovati campioni con tracce multiresiduali. “Dall’analisi dei dati rilevati – spiega Angelo Gentili – emerge la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia. Con l’approvazione della legge sul bio è stato fatto un importante passo in avanti. Adesso, serve passare dalla teoria alla pratica, affinché quel traguardo non risulti solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore”. Servono, quindi, meccanismi incentivanti e che vengano applicate in maniera stringente le norme “stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glifosato”. Oltre all’approvazione del regolamento presentato dalla Commissione europea, inoltre “occorre aumentare significativamente le aree coltivate a biologico che rappresentano un metodo efficace di ridurre gli input negativi in agricoltura”.
Zampetti: “Passi in avanti, ma non grazie alla politica” – Secondo il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, l’Italia si sta dimostrando un esempio virtuoso per l’Europa in fatto di riduzione dell’uso dei pesticidi, ma “grazie soprattutto alle sempre più numerose aziende che scelgono l’agricoltura biologica, non di certo a politiche nazionali significative in tal senso”. A conferma di ciò basti pensare al raggiungimento della quota del 17,4% di Sau (Superficie agricola utilizzata) condotta con metodo biologico. “È quindi necessario un impegno più incisivo considerando la richiesta dell’Unione europea di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030” spiega Zampetti, secondo cui è necessario approvare il nuovo Pan (Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019.