Calcio

Qual è l’eredità tecnica di questo Mondiale? Va ammesso: dietro la Francia c’è il deserto

L'apoteosi di Messi, la vittoria dell'Argentina e la sorpresa Marocco: sono i manifesti di un torneo che non è stato spettacolare nel senso tattico e tecnico del termine. C’è un evidente e preoccupante involuzione di alcune grandi tradizioni calcistiche, Italia in primis. Il modello transalpino è solo da ammirare (e possibilmente imitare)

L’apoteosi di Leo Messi, finalmente ricongiunto col suo idolo Diego, o forse semplicemente col suo destino. La prima storica semifinale dell’Africa col Marocco. Qualche sorpresa, tante delusioni e una tradizione calcistica, quella francese, che va ben al di là del risultato e si impone come la vera, nuova scuola dominante nel panorama calcistico mondiale.

Qatar ‘22 è stata un’edizione indubbiamente emozionale, con l’incredibile epilogo di ArgentinaFrancia, la partita di questo secolo. Però a parte la finale, che ha scritto una straordinaria storia nella storia, non è stato un Mondiale spettacolare nel senso tattico e tecnico del termine. Qualche partita tiratissima, SpagnaMarocco ad esempio, soprattutto la corrida di OlandaArgentina, adrenalina pura. Ma anche tante gare bloccate, asfittiche, decise quasi sempre da episodi. Sicuramente è il frutto della pressione: il Mondiale è unico, arriva una volta ogni quattro anni e per questo è la competizione più importante, sentita da tifosi e giocatori come nessun’altra (capito Infantino?). La posta in palio è altissima e non si può pretendere che le squadre non pensino prima di tutto al risultato. Ciò detto, i contenuti spesso sono stati davvero poveri. Forse, perché povere erano anche le squadre.

C’è un evidente e preoccupante involuzione di alcune grandi tradizioni calcistiche. Sull’Italia, che nemmeno si è qualificata per la seconda volta consecutiva, meglio stendere un velo pietoso. Ma altre nobili europee non sembrano messe meglio. La Spagna ha licenziato Luis Enrique, che ha pagato da capro espiatorio per l’eliminazione col Marocco: avrà pure delle responsabilità, ma con le sue idee negli ultimi quattro anni era riuscito a mascherare una crisi di talento inquietante e trasformare giocatori mediocri in una squadra di livello internazionale. La Germania produce qualcosa in più, ma raccoglie ancora meno, impantanata in una fase di ricambio da cui non riesce a uscire. Il Belgio ha chiuso nella peggior maniera possibile l’era della sua golden generation. Fuori dall’Europa, l’Argentina ha brillato solo grazie alla stella di Messi: la formazione campione del mondo è stata allestita dal ct Scaloni quasi come un omaggio al suo campione, una specie di “Messi & friends”; la “Tercera” è in bacheca, ormai è storia, ma di qui a costituire un modello calcistico ce ne passa. Quanto alla cavalcata del Marocco e alla generale crescita del movimento asiatico e nordamericano, la strada è ancora lunga.

Ecco che allora la finale della Francia, doppietta mancata per la differenza di un volubile regole, è un po’ come l’acqua nel deserto di un Mondiale in Qatar. Bisogna guardare più in là delle emozioni lasciate dall’epilogo: il dato di quattro finali nelle ultime sette edizioni è una tendenza davvero clamorosa. La superiorità mostrata a larghi tratti per tutto il torneo, con poche eccezioni (il primo tempo della finale con l’Argentina, il secondo della semifinale col Marocco), è tanto più imbarazzante se si considera che a questa squadra mancavano praticamente i tre giocatori migliori (dopo l’impareggiabile Mbappe): il pallone d’oro in carica Karim Benzema, e poi la dorsale di centrocampo fatta da Pogba e Kante. Si può dire che lo spogliatoio è sembrato quasi compattato da certe assenze e non c’è la riprova di come sarebbe andata al contrario, ma certo qualsiasi altra nazionale sarebbe stata azzoppata da tali forfait. Non la Francia, che ha portato in fondo un Mondiale con le riserve e quasi ribaltato la finale con le riserve delle riserve.

Ha a disposizione un serbatoio e potenziale sconfinato, che parte da Kylian Mbappè, il giocatore più forte al mondo in questo momento, ma poi si espande in una profondità di rosa in tutti i reparti che ha pochi paragoni. Koundè, Upamecano, Theo, Tchouameni, Fofana, Thuram, Kolo Muani sono tutti under 25 (Camavinga è addirittura un 2002) con almeno altre due edizioni da protagonisti assoluti, mentre a casa è rimasta gente come Maignan. Una ricchezza di talento e alternative di cui ora possono reggere il passo solo Inghilterra, Brasile, con le dovute proporzioni il Portogallo, che però per motivi diversi al momento decisivo hanno sempre mostrato vari limiti di squadra. Potrà pure aver perso la finale, ma ormai la Francia è diventata una scuola di calcio. Che magari si può battere in una serata speciale, ma si deve solo ammirare, e possibilmente imitare.

Twitter: @lVendemiale