“L’accordo prevedeva che avremmo lavorato per evitare delle risoluzioni contro i Paesi e in cambio avremmo ricevuto 50mila euro”. Pier Antonio Panzeri è pronto a collaborare con i magistrati della procura federale di Bruxelles. Lo dice lui stesso in un interrogatorio in cui accusa l’ex collega Marc Tarabella. E nello stesso tempo scarica Andrea Cozzolino, invitando gli inquirenti a concentrarsi sul ruolo dell’eurodeputato del Pd. Per quanto riguarda le sue condotte, invece, al momento Panzeri si è limitato a riconoscere solo una piccola parte delle contestazioni al centro dell’inchiesta della procura federale di Bruxelles. Per gli inquirenti, infatti, Panzeri è il protagonista dell’inchiesta sulle mazzette pagate da Marocco e Qatar per influenzare le decisioni del Parlamento Europeo. Secondo la relazione del Vsse, il servizio segreto del Belgio che ha dato inizio all’inchiesta, l’attività d’ingerenza del politico italiano in favore di Rabat va avanti almeno dal 2014, mentre le operazioni a favore di Doha cominciano nel 2018.
Il verbale dell’ex europarlamentare – Arrestato il 9 dicembre insieme al suo ex collaboratore Francesco Giorgi, alla compagna di quest’ultimo Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento Ue, e al sindacalista Luca Visentini (poi rilasciato), Panzeri è stato interrogato dalla polizia federale. Poi, dopo 24 ore, è comparso davanti al giudice istruttore Michel Claise per riempire un verbale d’interrogatorio. Ha fatto alcune ammissioni e alcuni nomi, che per il momento non sono bastati per soddisfare il giudice. Ma che rappresentano evidentemente un punto di partenza. Panzeri, per esempio, ha scaricato Cozzolino: “Io aggiungo”, si legge nel verbale, “che non ho prove ma voi dovreste controllare il presidente attuale della delegazione del Maghreb”. Cioè proprio l’europarlamentare del Pd, finora mai interrogato né indagato, ma citato più volte nell’indagine della procura federale del Belgio. “È il parlamentare di cui Giorgi è l’assistente”, continua l’ex sindacalista, indicando una sorta di pista agli investigatori. “Tra l’altro – spiega – questo parlamentare è responsabile di chiedere risoluzioni d’urgenza ma questo non passa da noi, questo passa direttamente quindi non conosco bene la base ma so che è successo”. Poche frasi che, però, rivelano chiaramente la volontà di Panzeri di spostare l’attenzione degli inquirenti su Cozzolino.
Le risoluzioni d’urgenza – La questione delle risoluzioni d’urgenza può essere cruciale per spiegare l’attività d’interferenza sul Parlamento Ue: si tratta, infatti, di una procedura accelerata che richiede una settimana per portare il testo al voto in Plenaria, bypassando di fatto i lavori nelle singole commissioni. Così, il capo di una commissione, di una delegazione o anche un semplice parlamentare può chiedere al proprio capogruppo di avanzare la richiesta accelerata alla conferenza dei presidenti che precede di 7 giorni il giovedì di Strasburgo. In una settimana, dunque, si riesce a votare un testo che di solito richiede mesi d’interlocuzioni. Panzeri, quindi, suggerisce agli investigatori di puntare i riflettori sul ruolo di Cozzolino da presidente della delegazione del Maghreb. Un incarico che lui conosce bene, avendo guidato la stessa delegazione dal 2009 al 2017. Agli atti dell’inchiesta c’è anche un altro incarico di Cozzolino: quello nella commissione speciale creata al Parlamento Ue per indagare sull’uso di Pegasus: secondo le accuse proprio perché il Marocco era stato accusato di aver usato lo spyware di fabbricazione israeliana. L’intelligence belga nella sua informativa sostiene che l’europarlamentare del Pd ha cominciato la sua attività d’ingerenza in favore del Marocco dal 2019. Cozzolino, infatti, sulle vicende relative alle mazzette pagate dal Qatar non è stato mai citato nell’indagine degli investigatori. Se non ora proprio da Panzeri.
Le accuse a Tarabella – Ma l’uomo che ha guidato per anni la Camera del Lavoro di Milano non si ferma qui. “State confessando di partecipare a questa corruzione almeno per lo Stato del Qatar coinvolgendo un eurodeputato, Giorgi e Tarabella. Avete delle altre rivelazioni da fare?”, gli chiedono gli investigatori. “Confermo Tarabella, è andato in Qatar”, risponde Panzeri, che dunque accusa il parlamentare dei Socialisti. Finora non indagato né interrogato, a Tarabella i magistrati hanno perquisito gli uffici degli assistenti. Nato in Belgio da una famiglia di origine italiana, eurodeputato dal 2014, Tarabella ha pure la tessera di Articolo 1, lo stesso partito al quale ha aderito Panzeri dopo aver lasciato il Pd. Nei verbali del politico italiano compare pure il nome di Maria Arena, altra eurodeputata belga che l’ha sostituito al vertice della commissione sui Diritti Umani: “Su di lei non posso dire niente, il problema non è che sia una amica o meno, personalmente dal punto di vista finanziario non ho mai avuto a che fare con lei, so che è andata una volta in Qatar e che ha ricevuto un regalo. Ma non so quale”, ha detto Panzeri.
“Visentini non faceva parte della rete” – Per quanto riguarda il segretario del sindacato mondiale Ituc Luca Visentini, invece, l’ex eurodeputato di Articolo 1 ha negato che facesse parte dell’organizzazione. “Mi ha chiesto se io potevo aiutarlo soprattutto per farlo arrivare” a Melbourne a novembre 2022, dove cioè è stato eletto al vertice del sindacato mondiale. “Non aveva i soldi, io gli ho dato circa 15mila euro credo”. Una registrazione ambientale degli investigatori, però, racconta di una passaggio di circa 50mila euro a Visentini in due buste con stampato Babbo Natale. Ma il sindacalista, dice Panzeri nel verbale, non era nella rete. Così come Figà-Talamanca, con il quale sarebbe entrato in contatto solo perché “affittiamo un locale” nella sede della ong che presiede. “Infatti se guardate fuori c’è scritto ‘No peace’ e ‘Fight Impunity’”, ovvero i due nomi delle organizzazioni: quella guidata da Talamanca e quella fondata da Panzeri nel 2019.
“L’accordo prevedeva soldi per evitare risoluzioni contro i Paesi” – Quando all’ex eurodeputato chiedono di chi sono i soldi trovati a casa sua – 600mila euro in contanti – , lui risponde: “Procediamo con ordine. L’origine di tutto, fondamentalmente, è stata dopo il 2019 e l’accordo prevedeva che avremmo lavorato per evitare delle risoluzioni contro i Paesi e in cambio avremmo ricevuto 50mila euro, questo accordo è stato passato al Marocco e in un certo senso ha continuato, ed è stato continuato tramite l’ambasciatore attuale che è a Varsavia Atmun Abderrahim”. Cioè l’uomo che, secondo le accuse, era la cinghia di trasmissione tra gli 007 marocchini e gli italiani accusati di essere al soldo di Rabat. A un certo punto, però, il giudice chiede: “Voi mi dite di essere pronto a collaborare, di chi erano i soldi?”. Panzari risponde così: “L’accordo è cominciato a ottobre o novembre 2019 e quando ero parlamentare non c’è stato alcun conflitto di interesse che mi riguardasse”. Poi, però, sottolinea: “La somma che era a casa mia non era a disposizione di altri”. Insomma, per ora, Panzeri sta cercando di limitare le contestazioni mosse ai suoi danni. Fa qualche ammissione, conferma alcuni nomi agli inquirenti e indica alcune piste politiche. Tutti segnali che rappresentano, probabilmente, l’inizio di una collaborazione in grado di fare tremare i palazzi del potere. A Bruxelles ma non solo.