Ma la presidente Giorgia Meloni lo sa?

Lo sa che troppi cittadini onesti che hanno deciso di denunciare il crimine, affidandosi allo Stato, sono in grave sofferenza, al punto da maledire il giorno in cui anziché accettare un disonorevole compromesso con la mafia o girarsi dall’altra parte hanno imboccato la strada di una Procura?

Me lo chiedo perché, al netto di ogni altra considerazione sulle posizioni politiche che la presidente Meloni rappresenta, troverei davvero curioso che, avendo condito la sua ascesa politica con dosi massicce di patriottismo e di richiami all’antimafia degli eroi civili, fosse indifferente a questo grido di dolore.

Forse la mia è l’ennesima, ingenua, concessione alla fiducia nelle persone, alla convinzione cioè che per quanto possano essere distanti le posizioni politiche su innumerevoli questioni, ci si possa infine ritrovare su quelle materie che hanno a che fare proprio con la credibilità delle Istituzioni e sulla loro capacità di proteggere i cittadini che preferiscono la legalità al “puzzo del compromesso morale”. Forse le riforme annunciate dal ministro Nordio in materia di indagini e codice penale, la “riforma” del Codice degli Appalti già approvata in Consiglio dei ministri, la “pace fiscale”, l’innalzamento al tetto del contante utilizzabile, il tira e molla sull’utilizzo del pos voluto in Legge di Bilancio dovrebbero farmi desistere, eppure quantomeno la decisione tempestiva e opportuna di riprendere per decreto la riforma dell’ergastolo ostativo già approvata dalla Camera sul finire della scorsa Legislatura, evitando un intervento più tranciante da parte della Corte Costituzionale, mi induce a continuare questa sorta di appello alla presidente Meloni.

Allora riprendo il filo del discorso: ci sono cittadini, diventati testimoni fondamentali per l’accusa in processi contro la ‘ndrangheta, impelagati in liti giudiziarie con lo Stato che durano da dieci anni e che paiono contraddire la legge e pure il buonsenso. Liti talmente lunghe e costose da essere sopportabili soltanto da chi sia di suo benestante, come se la pretesa di giustizia potesse avere a che fare con il portafoglio. Conosco testimoni che ormai, anche pubblicamente, ammettono che se avessero accettato di scendere a patti con la mafia avrebbero avuto maggiori certezze sul proprio futuro.

Altri testimoni, sottoposti a speciali misure di protezione o a speciale programma, in lite con il Servizio Centrale di Protezione e con la Commissione Centrale (l’organismo incardinato al ministero dell’Interno che governa i destini di testimoni di giustizia e collaboratori e che di solito è presieduto da un sottosegretario o da un viceministro dell’Interno) per avere il rimborso di spese mediche sostenute o per accedere ad un lavoro che realizzi quel dovere legale che lo Stato ha di reintegrare i testimoni in uno stile di vita coerente con quello che era loro proprio prima che decidessero di denunciare e comunque dignitoso.

Altri che sono in sciopero della fame, altri ancora che attendono da troppo tempo di essere ricevuti dalla Commissione Centrale (che ha l’obbligo di convocarli, quando ne facciano richiesta). Altri ancora che si vedono recapitare a casa la notifica della revoca della protezione destinata per anni a tutto il nucleo famigliare, senza che lo Stato si assuma la responsabilità (liberatoria!) di mettere nero su bianco l’avvenuta cessazione di ogni pericolo per la famiglia protetta, che anzi viene invitata a provare il contrario. In alcuni momenti, da certe risposte ricevute, è parso che la prevalente logica ordinativa di tutta la materia da parte delle Istituzioni coinvolte fosse risparmiare, tagliando i costi del servizio. Parafrasando lo slogan di una Ong che si occupa di adozioni a distanza, direi alla presidente Meloni: non chiederti quanto costa, ma quanto vale.

Quanto vale per la Repubblica una scelta come quella che fanno i Testimoni? I testimoni, che siano o meno inseriti nelle speciali misure o nel programma speciale di protezione, sono cittadini perbene che hanno subìto o hanno visto commettere un reato e che decidono di denunciare, a differenza di quell’altra categoria, altrettanto importante, ma con la quale i testimoni non andrebbero mai confusi che sono i collaboratori di giustizia, e cioè delinquenti patentati che ad un certo punto decidono di “barattare” con lo Stato informazioni contro migliori condizioni detentive ed economiche.

Detto altrimenti, quanto offende la Repubblica, quanto la allontana dai cittadini, ogni mortificazione subita dai Testimoni? E, lo preciso sempre, se ci fosse qualche testimone in malafede, che cercasse di approfittare dello Stato, nessuna indulgenza! Li si denunci nelle sedi opportune: fui proprio io, da estensore prima e poi da relatore alla Camera della proposta di legge di riforma del sistema di protezione, a volere pene più severe per chi avesse fatto il furbo. La proposta venne approvata all’unanimità dal Parlamento italiano ed è legge dal gennaio 2018.

Presidente Meloni, insomma, trovi il tempo di verificare di persona come stiano andando le cose, troverà al Viminale chi se ne occupa, in quota Lega, fin dalla passata legislatura: l’onorevole Nicola Molteni.

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