Tempo di Natale, di pranzi e cenoni, di relax e di tv, di Fantaghirò e Una poltrona per due. A cui ovviamente si aggiungono i grandi classici della cultura italiana, in primis le commedie di Eduardo De Filippo. Quella andata in onda ieri sera su Rai1, Filumena Marturano, è stata una versione meravigliosa, capace di coniugare il rispetto per la tradizione con un tocco di modernità.
In scena i protagonisti Filumena Marturano, impersonata da una magistrale Vanessa Scalera, e Massimiliano Gallo nei panni di Don Domenico Scarano: la coppia, già collaudata nelle due stagioni della serie tv Imma Tataranni – Sostituto procuratore, ha saputo trasporre sul piccolo schermo le ripicche e gli inganni dei personaggi della commedia di De Filippo con uno sguardo nuovo, necessario per interpretare oggi il testo originale (risalente al 1946) e capace di farsi spazio accanto alla versione cinematografica di Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica (1964), protagonisti Sophia Loren e Marcello Mastroianni.
In effetti, i precedenti potevano risultare ingombranti: come ha affermato Scalera, il regista Francesco Amato sapeva che la sua squadra “partiva perdente”. Per questo è ancor più apprezzabile il lavoro che è stato fatto, senza imitazioni posticce o inutili emulazioni: l’affiatamento della coppia Scalera-Gallo è evidente. I due riescono a portare in scena un’introspezione psicologica lontana dal cliché di un don Mimì arrogante e poi rassegnato, facendone emergere invece il lato comico e fragile; e la Filumena di Scalera mette da parte il dolore di donna ‘ripudiata’ e ferita per tenere testa al potere che la vorrebbe nuovamente mettere all’angolo. Il risultato è una recitazione sostenuta, mai noiosa, intensa e commovente. Grande interpretazione anche da parte di Nunzia Schiano nel ruolo di Rosalia, il personaggio che forse più si avvicina agli stilemi eduardiani, e di Marcello Romolo nel ruolo di Alfredo, oltre gli ottimi Francesco Russo, Massimiliano Caiazzo e Giovanni Scotti nei panni dei tre figli.
E proprio sul concetto di maternità si impernia il finale della commedia: “i figli so’ figli”, anche se non li si è potuti crescere. Non importano le incomprensioni che hanno dato origine alla vicenda, con l’inganno del matrimonio in articulo mortis; né i silenzi che fanno esplodere il conflitto al centro della storia. Quel che conta è che per amore dei figli Filumena ingaggia una lotta più grande di lei e che la porta paradossalmente lontano da loro; e vince quando Mimì si sente chiamare “papà”: trionfano insomma il rimpianto e il perdono.
Siamo lontani dall’amarezza che De Filippo constaterà anni dopo in Sabato, domenica e lunedì, ma sopravvive quel sentimento interiore verso l’idea di famiglia – di qualunque forma essa sia – che rende questa commedia un’opera anche ‘politica’. Una scommessa che la Rai vince con coraggio e passione.