Il film di Nicolas Bedos (La belle epoque) arriva in sala dal 22 dicembre con Lucky Red non ingrana all'istante ma sulle due ore diventa un giochino perfetto per sottile ironia, ritmo di montaggio, dinamicità nel movimentare le pedine del coro in scena
Ladro lui, ladra lei. Una girandola ammiccante e sofisticata alla Lubitsch con acidulo retrogusto “vorrei ma non posso” alla Fitzgerald, adagiata sull’evanescente solarità della Costa Azzurra e con un cast di star francesi da spavento. Non ingrana all’istante, Masquerade – Ladri d’amore di Nicolas Bedos (in sala dal 22 dicembre con Lucky Red), ma sulle due ore diventa un giochino perfetto per sottile ironia, ritmo di montaggio, dinamicità nel movimentare le pedine del coro in scena. Lui si chiama Adrien (Pierre Niney), è un giovane segaligno ex ballerino, azzoppato da un incidente, intento a bighellonare tra letti di altolocate e ricche signore di Nizza e Cannes, mantenuto da una ex gloria del cinema (Isabelle Adjani). Ad uno dei tanti party con raffinati e fedifraghi ricconi, Adrien incontra fortuitamente Margot (Marine Vacht), escort a tempo perso, intimamente ladra (di gioielli, anime e futuro). I due prima si annusano come animaletti, si accoppiano, sudano, sprigionano sex appeal ad ogni inquadratura, poi organizzano un piano per truffare un maturo e ricco agente immobiliare (Francois Cluzet) e l’altrettanto matura moglie (Emmanuelle Devos). La farsa finirà in tragedia e in tribunale.
Orchestrati fin da subito su due piani temporali (la ricostruzione dei fatti narrati durante il processo che vede alla sbarra l’agente immobiliare) e sullo srotolamento di volti di attori noti (registrare quello di una Adjani catatonico imbambolata con parrucca non è subito facile) in mezzo a villoni simil hollywoodiani, spiagge, piscine, arazzi, ristoranti stellati vista mare, lo script e la messa in scena di Bedos necessitano di un breve rodaggio visivo e di spirito che dura una decina di minuti, poi Masquerade si trasforma in un gustoso, stuzzicante, pregevole gioco al massacro che occhieggia perfino ad una sorta di realismo da rotocalco. Cromatismi sparati e densi per Bedos, già bravo nel riempire l’immagine nell’altrettanto riuscito La belle epoque, e cast che si supera in pedante immersione sul personaggio: la sfacciataggine della Vacht lascia senza fiato, mentre Cluzet e la Devos si “abbassano” a personaggi comuni pur benestanti con quel tanto di franco anonimato che ne mostra intuitiva classe e talento.