Costrette all’ignoranza, alla reclusione tra le mura domestiche. Perché per loro ormai è vietato lavorare, frequentare la scuola superiore, avere qualche tipo di ambizione. E ora le donne che vivono sotto il regime talebano devono anche rinunciare all’università. I sogni e le aspettative di migliaia di ragazze, che solo tre mesi fa avevano affrontato gli esami di ingresso, sono stati distrutti da un laconico messaggio del ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadim: “Siete tutti informati di attuare il citato ordine di sospensione dell’istruzione delle donne”. Nadim, ex governatore e comandante militare, nonché esponente della linea dura religiosa, è stato nominato responsabile dell’Università lo scorso ottobre e sin da subito aveva espresso la sua ferma opposizione all’istruzione femminile, definendola non islamica e contraria ai valori afghani. Per questo, la decisione comunicata purtroppo non rappresenta una sorpresa, ma quello che da anni ci si aspettava col ritorno al potere dei talebani. Il nuovo divieto verrà sottoposto al G7 di domani – di cui la Germania detiene la presidenza fino alla fine dell’anno – dalla ministra degli Esteri tedesco Annalena Baerbock: i Talebani, ha scritto su Twitter, con questo provvedimento “hanno deciso di distruggere il futuro del proprio Paese”. “Distruggendo il futuro delle ragazze e delle donne in Afghanistan, i Talebani hanno deciso di distruggere il futuro del loro stesso Paese. Metterò la questione all’ordine del giorno del G7 domani”. “Il mondo ci guarda”, ha aggiunto rivolgendosi ai funzionari afghani.
Anche gli Stati Uniti condannano fermamente la decisione di Nadim. “I talebani devono aspettarsi che questa mossa, che va contro gli impegni che hanno assunto ripetutamente e pubblicamente nei confronti del proprio popolo, comporterà costi concreti per loro”, ha detto il portavoce del dipartimento di Stato americano Ned Price, sottolineando che “gli Stati Uniti non possono avere una relazione normale con i talebani se prendono decisioni del genere”. “Profondamente preoccupato” per il divieto imposto dai talebani anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che esorta a “garantire la parità d’accesso all’educazione a tutti i livelli” perché “la negazione dell’istruzione non solo viola l’uguaglianza dei diritti delle donne e delle ragazze, ma avrà un impatto devastante sull’avvenire del Paese”.
Sin dal loro arrivo al potere, i talebani, dopo aver di fatto impedito alle donne di lavorare, nel marzo scorso avevano disposto la chiusura delle scuole femminili, in attesa di nuove direttive in accordo con la legge islamica. Direttive mai emesse, senza contare che senza aver frequentato le scuole superiori è di fatto impossibile accedere all’università. Il 7 maggio scorso è poi peraltro arrivato il decreto del leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhunzada, che ha imposto il velo integrale, che deve lasciare scoperti solo gli occhi (quando non si tratta del burqa, che copre pure quelli) quando una donna è fuori della sua casa. Resta de vedere se ora le afghane accetteranno senza protestare l’ufficializzazione di quanto di fatto era già stato deciso. Ancora nel maggio scorso si era avuta notizia di una manifestazione a Kabul di alcune decine di donne che, prima di essere brutalmente messe a tacere e disperse da uomini della sicurezza in abiti civili, avevano scandito in strada slogan per rivendicare “pane, lavoro e libertà“, e del “diritto ad andare a scuola”.
In questo quadro, tre mesi fa migliaia di ragazze e donne avevano potuto sostenere gli esami di ammissione all’università in tutto il paese, anche se nell’ambito di radicali restrizioni sulla scelta dei corsi di studio, con veterinaria, ingegneria, economia e agricoltura vietate, e giornalismo severamente limitato. Senza contare le regole imposte a tutti gli atenei, tra cui aule e ingressi separati per uomini e donne. Di fatto, comunque, solo fumo negli occhi. In un Paese con l’economia in ginocchio, privare le ragazze dell’istruzione secondaria significa tra l’altro una perdita di almeno 500 milioni di dollari l’anno, secondo un’analisi dell’Unicef diffusa lo scorso agosto, 12 mesi dopo la presa del potere da parte dei talebani. Un lusso che l’Afghanistan non potrebbe certo permettersi. Senza contare che gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali condizionano il riconoscimento formale del governo talebano – e quindi gli aiuti e la cooperazione – al miglioramento delle condizioni di libertà femminile.