di Sara Gandini, epidemiologa/biostatistica, Fabrizio Tuveri, medico, Pier Giorgio Ardeni, storico/economista
Una farmacista intervenuta il 15 dicembre alla manifestazione di protesta dei medici tenutasi a Roma si è rivolta con queste parole alla Presidente del Consiglio: “Giorgia, credi a noi, l’emergenza non è la malattia: l’emergenza è garantire la diagnosi e la cura”. Nessuna frase, dati alla mano, poteva riassumere meglio ciò che è accaduto negli ultimi tre anni. Nel settembre 2022 la mortalità in eccesso nell’Ue si è attestata al 9,3% in più della media dello stesso periodo del 2016-2019 (era il 13,0% in agosto). Nel settembre 2022 si sono verificati circa 30.000 decessi in più.
Il tasso di mortalità in eccesso era dell’8,1% nel settembre 2020 (28.000 decessi in eccesso) e del 12,8% nel settembre 2021 (44.000 decessi in eccesso). In Italia, nei due anni 2020 e 2021 e nei primi 10 mesi del 2022, l’eccesso di mortalità totale, rispetto alla media 2015-2019, è stato di 211 mila decessi. La mortalità eccedente è stata del 15,6% nel 2020, del 9,8% nel 2021 e dell’8,8% nel 2022. Cosa sta causando questi decessi? Perché sono più della norma?
La Covid-19 è solo in parte responsabile direttamente o indirettamente. L‘Office for Health Improvement and Disparities (Ohid) in Uk traccia i decessi per causa, luogo e fascia di età e rileva un eccesso delle morti per cause cardiovascolari, così come un aumento consistente dei decessi per diabete, patologie del sistema urinario e altre infezioni respiratorie non legate alla Covid-19. In agosto 2022, 6,7 milioni di persone erano in lista d’attesa del Servizio sanitario nazionale in Uk per cure elettive e non urgenti, con un aumento di oltre il 50% rispetto al periodo pre-pandemico.
Un rapporto della British Heart Foundation, pubblicato a novembre, ha rilevato oltre 30.000 decessi che potevano essere risparmiati in Uk per malattie cardiache dall’inizio della pandemia. Ciò è dovuto in buona parte ai ritardi diagnostici e terapeutici durante le chiusure. Alla fine di agosto, circa 346.000 persone erano in lista d’attesa per cure cardiache in Inghilterra, il numero più alto mai registrato da sempre (oltre 7.000 pazienti attendono da più di un anno una procedura cardiaca). I tempi medi di risposta delle ambulanze per sospetti infarti del miocardio sono saliti a 48 minuti mentre dovrebbero essere di 18 minuti. Le patologie cardio-circolatorie pesano un quarto nel divario di aspettativa di vita tra i ricchi e i più poveri.
In Italia non va meglio. Si stima che solo tra il 2019 e il 2020 siano state circa 30 milioni le prestazioni rinviate, tra visite ed esami, a causa della pandemia (dati ministero della Salute). Uno studio condotto dalla Società Italiana di Cardiologia (Sic) in 54 ospedali italiani ha evidenziato che la mortalità nelle Unità di Terapia Intensiva coronarica era più che triplicata dopo la pandemia, a causa della riduzione dei servizi di cardiologia e del ritardo nelle cure.
L’Annuario Statistico del Sistema Sanitario Nazionale del 2020 evidenzia un milione di ricoveri in meno in strutture pubbliche, per tutte le cause, nel 2020 rispetto al 2019. Nelle terapie intensive, i reparti più coinvolti dall’emergenza Covid-19, i ricoveri legati alla Covid-19 hanno in realtà registrato un +16% con un lieve aumento della durata media di ricovero ma con una riduzione del tasso di utilizzo dei posti (dal 45,8% del 2019 al 40,5% del 2020), grazie all’aumento del numero di posti letto. È dunque evidente che l’emergenza legata al numero di ricoveri ospedalieri causata dalla Covid-19 durante la pandemia non è tale da giustificare la marcata riduzione dei servizi sanitari che un’organizzazione meno irrazionale avrebbe potuto evitare. Una riduzione che si spiega anche con i tagli e definanziamento al sistema sanitario nazionale operati negli ultimi decenni.
Durante la sindemia c’è stata a livello internazionale una riduzione del 37% dei servizi sanitari comprendente riduzioni per le visite del 42%, dei ricoveri del 28%, della diagnostica del 31% e delle terapie del 30%, come indicato da un’analisi di 81 studi in 20 paesi. Alcuni sostengono che i problemi emersi con la gestione della pandemia siano dovuti al fatto che non avevamo un piano pandemico aggiornato. Tuttavia gli Stati Uniti, che sulla carta dovevano essere i più preparati, hanno avuto un maggior numero di decessi per infezione e un maggior eccesso di decessi per tutte le cause rispetto a 20 altri Paesi simili per tutta la durata della pandemia, secondo uno studio pubblicato su Jama (tra la seconda metà del 2021 e all’inizio del 2022 gli Stati Uniti hanno registrato da 155.000 a 466.000 decessi in più rispetto agli altri Paesi).
In larga parte l’eccesso di mortalità attuale negli Usa è dovuto a obesità e diabete (30% di mortalità in più per questi ultimi). Obesità e diabete sono aumentati anche in seguito al lockdown, come riporta The Lancet. Inoltre molti studi hanno mostrato un aumento significativo di decessi per alcol e droghe, soprattutto tra le fasce sociali più deprivate (i cosiddetti “morti per disperazione” aumentati in modo particolare negli Usa).
Nella sola Australia un’interruzione di un anno dei servizi sanitari e un ritardo di 26 settimane nel trattamento porterebbero a una media di 1719 decessi aggiuntivi entro il 2044 tra i pazienti affetti da neoplasia del colon-retto. Per contestualizzare, da inizio pandemia al 9 maggio 2021, in Australia, erano stati segnalati 7509 decessi direttamente attribuibili alla Covid-19. Il rischio di morte per neoplasie al colon aumenta del 6% ogni 4 settimane di ritardo terapeutico (chirurgico e/o chemioterapico); ritardi simili nella chemioterapia adiuvante pre-operatoria aumentano il rischio di mortalità del 13%.
Prima della pandemia, in Canada, l’intervallo di tempo tra diagnosi e inizio della terapia, nei pazienti neoplastici, era di circa 4-5 settimane. I risultati di un’indagine condotta dalla rete canadese dei sopravvissuti al cancro hanno indicato che ci sono voluti in media 44 giorni per riprogrammare qualsiasi procedura o intervento chirurgico rinviato a causa della pandemia. Si prevede che il ritardo dell’intervento chirurgico o del trattamento adiuvante per il cancro del colon-retto (da 31 a 75 giorni) aumenti più del doppio il rischio di morte. In generale ogni mese di ritardo terapeutico nel trattamento del cancro può aumentare il rischio di morte di circa il 10%, secondo una revisione della letteratura pubblicata su Bmj. Negli Usa la pandemia Covid-19 ha causato indirettamente un aumento del 3,2% del numero di decessi legati al cancro nel 2020 rispetto al 2019 (fonte: American Cancer Society).
La pandemia ha anche portato all’interruzione della campagna vaccinale per il papilloma virus umano-Hpv che è essenziale per ridurre il rischio di tumori del collo dell’utero e dell’orofaringe, oltre che lo screening del cancro cervicale. Gli effetti delle modifiche/interruzioni dei programmi di vaccinazione e screening contro l’Hpv probabilmente si manifesteranno per decenni.
Ricordiamo infine che si è osservato anche un incremento del numero di suicidi tra i più giovani, tra agosto e novembre 2020, dal Giappone, agli Usa e all’Europa. Secondo l’Oms, il suicidio era già una delle principali cause di decesso tra i giovani tra i 15 e i 29 anni a livello mondiale ben prima della pandemia. Uno studio condotto su 14 stati negli Usa dal National Institutes of Health ha mostrato un ulteriore aumento del numero di suicidi anche tra gli adolescenti.
Concludiamo sottolineando però che ci sono delle eccezioni rispetto all’eccesso di mortalità: la Svezia, ad esempio, ha la mortalità in eccesso cumulativa tra le più basse in Europa. Trenta mesi dopo lo scoppio della pandemia, il tasso di mortalità per Covid-19 in Svezia è tra i più bassi d’Europa. Ricordiamo che la Svezia è uno dei pochi paesi che ha usato restrizioni meno severe e si è affidata ad una comunicazione meno terroristica.
Concentrarsi solo sui rischi di contagio e trascurare le altre patologie ha provocato sicuramente più danni che benefici sia nel breve che nel lungo termine. Non c’è da stupirsi quindi del generale eccesso di mortalità per tutte le cause che si vede in vari paesi. In sostanza, l’inadeguatezza dei sistemi sanitari, già in grave difficoltà dopo decenni di tagli, si è riflessa in strozzature, ritardi e inefficienze che si sono riverberate sul trattamento di tutte le patologie. Alcune decisioni di politica sanitaria, come la chiusura di reparti e servizi fondamentali e le carenze di organico causate dal tentativo di ridurre i rischi di contagi, stanno avendo pesanti conseguenze.
Per questo è importante sottolineare che si tratta di una sindemia e non di una pandemia. Malattie e decessi per Covid-19, ma non solo colpiscono in misura maggiore le persone che hanno più patologie croniche non trasmissibili e queste sono più frequenti in coloro che sono in una minore disponibilità economica e sociale, sia per il differente accesso alle cure che per la mancanza di prevenzione, ma anche per le condizioni di vita più precarie. Ma questa condizione riguarda sempre più persone, non più una minoranza, anche a causa delle chiusure e della guerra. Non importa quindi quanto possa essere efficace un vaccino o una cura: se si affronta ogni crisi solo con un approccio emergenziale e puramente biomedico e non si investe sia nella sanità che per ridurre le diseguaglianze, si può arrivare all’effetto perverso di aumentare la mortalità. E così è successo.