Una questione di simboli, storia, valori. Una questione, molto concreta, di aiuti e di armi. Volodymyr Zelensky è volato a Washington, ha ringraziato gli Stati Uniti per l’appoggio sin qui offerto al suo popolo. Ha enfatizzato valori e senso della lotta comune per la democrazia. Ha però chiesto agli americani di fare di più. “Il vostro denaro non è beneficenza, è un investimento”, ha detto Zelensky a deputati e senatori riuniti in seduta comune. Alla fine, non è però detto che il presidente ucraino abbia davvero ottenuto quello che sperava.
Il viaggio di Zelensky a Washington, il primo all’estero da quando è partita l’invasione russa, è stato attentamente coreografato. Gli Stati Uniti hanno atteso l’arrivo di Zelensky per annunciare, lo ha fatto il segretario di stato Antony Blinken, l’invio di una tranche di nuovi aiuti militari da 1,85 miliardi di dollari. Tra questi, ci saranno sicuramente i sistemi di difesa aerea Patriot, necessari a Kiev per contrastare la violenza dei recenti raid russi contro le infrastrutture civili. Senza apparenti esitazioni è stata poi la riaffermazione da parte di Joe Biden del sostegno americano alla guerra. “Gli Stati Uniti continueranno ad appoggiare l’Ucraina per tutto il tempo necessario”, ha detto.
Zelensky, da parte sua, ha disseminato il viaggio negli Stati Uniti di riferimenti a storia e simboli che sono parte integrante dell’immaginario americano. In particolare, quelli relativi alla Seconda Guerra Mondiale. L’Ucraina sta combattendo “una battaglia comune contro la tirannia”, ha detto Zelensky, che nel discorso al Congresso ha citato Franklin Delano Roosevelt, l’alfiere della battaglia contro la dittatura nazista: “Il popolo americano grazie al suo giusto potere vincerà, fino alla vittoria assoluta. E io vi dico che anche il popolo ucraino vincerà, assolutamente”. Più di uno storico, in questi giorni, ha del resto paragonato la visita di Zelensky a quella di Winston Churchill che salpò per l’America subito dopo l’attacco a Pearl Harbor. Churchill tenne una conferenza stampa con il presidente Franklin Roosevelt e si unì a lui nell’illuminazione dell’albero di Natale. Parlò poi al Congresso il 26 dicembre 1941. Alla fine di un discorso di mezz’ora, Churchill diede una “V” in segno di vittoria, tra gli applausi scroscianti dei legislatori Usa.
Un altro simbolo importante ostentato durante la visita è stato quello delle bandiere. Martedì mattina, prima di essere scortato dai jet Usa a Washington, Zelensky ha visitato Bakhmut, nel Donbass, una delle aree dove più violenta infuria la guerra. Qui si è fatto firmare una bandiera ucraina dai soldati impegnati nei combattimenti. Quella bandiera, Zelensky l’ha consegnata a Nancy Pelosi e Kamala Harris, a conclusione del suo discorso al Congresso. In cambio, Pelosi ha offerto a Zelensky la bandiera a stelle e strisce che ondeggiava in cima al Campidoglio. È stato un ulteriore segno del legame che, proprio attraverso la guerra in Ucraina , si è stabilito tra i due Paesi. Un legame, verrebbe da dire, sino a qualche tempo fa impensabile. Nel 2017 l’allora presidente Donald Trump bloccò aiuti militari per 400 milioni all’Ucraina, e negò una visita a Washington a Zelensky, chiedendo che proprio Zelensky facesse partire un’inchiesta giudiziaria contro il figlio di Joe Biden, Hunter.
Al di là di bandiere, storia, valori, è stata però proprio la richiesta di aiuti militari a segnare la visita di Zelensky. E, da questo punto di vista, non tutto è andato come da parte ucraina si sperava. A deputati e senatori, Zelensky ha chiesto di approvare velocemente il pacchetto da 47 miliardi di dollari in assistenza che Biden ha previsto nel 2023 per Kiev. Non si tratta di cosa scontata. I Repubblicani, che erediteranno il controllo della Camera a partire dal 3 gennaio 2023, hanno già fatto sapere di essere contrari a offrire “assegni in bianco” all’Ucraina. I settori più conservatori del partito, quelli legati a Donald Trump, e quelli più attenti all’equilibrio di bilancio sono restii a investire nella guerra altri miliardi dei contribuenti americani. E gli ultimi sondaggi mostrano che proprio l’opinione pubblica americana appare sempre meno entusiasta di andare avanti, indefinitamente, con la guerra. I continui appelli di Zelensky, durante il discorso al Congresso, alla “lotta comune” di Stati Uniti e Ucraina sono stati allora il tentativo di sbloccare il flusso di denaro verso il suo Paese. Un tentativo che non è detto abbia successo.
La cosa che Zelensky più sperava di ottenere durante il viaggio riguarda però il tipo di assistenza militare. E, anche qui, pare che il presidente ucraino non sia riuscito a spuntarla. In un tweet di alcuni giorni fa dal titolo “La mia lista di desideri per il Natale”, Mykhailo Podolyak, uno dei principali consiglieri di Zelensky, inseriva nuova artiglieria pesante, droni sempre più sofisticati e gli Army Tactical Missile Sistem (ATACMS), sistemi missilistici a lungo raggio, fino a 300 km, che gli ucraini ritengono necessari per riprendere i territori occupati dai russi. Ecco, in particolare sulla questione degli ATACMS, Zelensky non è riuscito a vincere le resistenze di Biden. Quei missili potrebbero essere usati dagli ucraini per attacchi dentro il territorio russo e Biden non vuole un’ulteriore escalation militare che cancellerebbe le poche, residue possibilità di far partire negoziati di pace.
L’ultimo aspetto che emerge dalla visita americana di Zelensky riguarda proprio i negoziati. Al momento, non sembra esserci alcuna reale possibilità per un loro avvio. Zelensky è stato esplicito nel rifiutarli. “Non intendo compromettere la sovranità, la libertà e l’integrità territoriale del mio Paese”, ha detto. E Biden ha ribadito che Stati Uniti e Ucraina devono “restare uniti almeno fino al 2023”. Un segno, appunto, che a Washington si ritiene che la guerra non finirà presto.