Nell’orgia pseudo religiosa che come nebbia avvolge il governo Meloni, il modello evangelico che Gesù assume come esempio di vita del credente oggi è messo alla gogna da chi sbraccia madonne e bacia rosari in parlamento, violando il tempio della laicità e invocando il dio patriota di una famiglia che non esiste più e forse mai è esistita.

Il pubblicano in fondo al tempio, i bambini scacciati dai discepoli, la donna che perde sangue, il cieco Bartimeo, la vedova di Nain, il centurione straniero e nemico, che vede il proprio servo risanato. Tutti, insieme ai poveri di oggi, sono stati cancellati con una decisione “politica”: i poveri sono i nemici del melonismo, eppure lei stessa proviene dalla Garbatella romana. Forse ora, da autentica parvenue, si crede una “matrona” e non c’è nessuno più ridicolo di chi, arrivando dal nulla al vertice, gioca “a fare l’esoterico”. Lo stile non si acquisisce, ma è una dote e lo si vede, magari alla Scala di Milano o camminando, come in una corsa al sacco, sui “red carpet” del “palazzo”. Diceva Totò che “signori si nasce”.

A Genova, dove vivo e lavoro insieme ad altre amiche e amici, ormai da 12 anni accompagniamo tra 120 e 150 famiglie (sic!) di poveri di ogni genere, uomini e donne, specialmente bambini, non importa da dove vengano o se siano italiani o no. Sono persone. La povertà che Meloni e i suoi sodali rafforzano e diffondono ulteriormente è come la livella di Totò: azzera ogni possibilità di riscatto, vieta ogni via di scampo. È l’inferno in terra. Chi nasce povero è condannato alla povertà e può aspirare solo alla miseria.

Il sindaco di Genova, Marco Bucci, chiude alle 21 i minori non accompagnati, ma senza avanzare alcuna proposta alternativa, nessun progetto d’inserimento: segregati devono restare perché “non sono figli nostri”, poi vanno pure in chiesa e osano anche dire “Padre Nostro”. A loro interessa solo il “decoro” delle strade. In 12 anni di esistenza dell’Associazione Ludovica Robotti-San Torpete abbiamo visto l’inizio del cambiamento quando arrivò il reddito di cittadinanza che versò olio sulle ferite vive dei poveri, privi di cibo per sé e per i figli. Cibo, non rolex.

Il 40% del nostro bilancio (pubblicato con newsletter nel mese di ottobre) va ad Arte (ente regionale, assegnatario dell’edilizia pubblica), cioè a un ente pubblico (gestito privatamente) per pagare affitti e amministrazioni. Un mondo alla rovescia.

In Europa, quasi tutti i Paesi economicamente avanzati hanno un sistema di sostegno universale ai “cittadini in quanto tali” affinché nessuno resti fuori (non dietro). Invece da noi, insieme ai cosiddetti stranieri che sfruttiamo in maniera schiavista, buttiamo fuori dai confini della civiltà anche i residenti italiani e ogni nostro “carico residuale” di civiltà.

Pur obbligati dalla legge a dare protezione ai poveri, il Comune e la Regione, invece, li abbandonano e, scaricandoseli, li inviano a noi, ormai in maniera aperta “perché non hanno soldi”. Ludovica Robotti-San Torpete, la Caritas e i Centri di Ascolto di Genova e dell’Italia religiosi e laici si sono sostituiti allo Stato e ai Comuni, che abdicano al loro giuramento sulla Costituzione che gli impone di “eliminare gli ostacoli di ordine economico”, barriera alla dignità e alla ricerca della felicità (articolo 3 comma 2).

Come operatori sociali benediciamo il reddito di cittadinanza, fulcro di dignità, vera Provvidenza, se non fosse che proprio coloro che si dicono iper cattolici, ispirandosi alla Dottrina Sociale della Chiesa (Berlusconi, Moratti, Bucci, Toti, ecc.), sono quelli che calpestano i principi del solidarismo cattolico perché la dignità evangelica esige coerenza. A quelli che si appellano al Dio delle patrie e delle famiglie del secolo scorso oppongo il Dio del regno dei cieli che chiederà conto con precisione: avevo fame, sete, ero straniero, povero e mi avete assistito.

“Regno di Dio” non è qualche cosa di aleatorio, relegato nel dopo morte, di cui non c’è alcuna prova, ma nel pensiero e nell’agire di Gesù è la proposta di un nuovo modo di relazionarsi tra le persone e tra i popoli, per rivoluzionare sulla terra il sistema dei rapporti e della distribuzione dell’abbondanza che la terra produce, cui tutti, senza distinzione di sesso, religione, cultura, origine e nazione hanno diritto per nascita e vocazione.

I poveri li avrete sempre con voi perché sono la misura della nostra identità e dei nostri sproloqui. I poveri sono nome e cognome di Gesù. Finché ne esisterà uno solo sulla terra, non avremo mai il diritto di entrare nel “regno di Dio” e tanto meno quello di celebrare il Natale trasformato dai cristianucci nella “grande bestemmia”.

La povertà non può essere una condizione di vita, ma una virtù spirituale che deve governare l’esistenza che ci fa scegliere l’austerità “etica” come dimensione di vita sociale e politica, religiosa ed evangelica. La terra è “di tutti” e ciascuno è usufruttuario, ma padrone di ciò che ha ricevuto come dono. “Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia” (Scuola di Barbiana).

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