Leggere è un gesto e una prova di volontà nella misura in cui è un gesto privato che richiede tempo di qualità, ovvero concentrazione, due elementi che al giorno d'oggi contrastano con una vita frenetica in cui i social - per lo più visivi - hanno la meglio.. Ecco allora che la strategia per vendere libri è quella di trasformarli in oggetti... bellissimi, preziosissimi, rarissimi, pesantissimi, rappresentazione di uno status o di ciò a cui si vorrebbe aspirare, né più né meno che una borsa griffata
Grandi anzi grandissimi, pesanti anzi pesantissimi. Sembra essere questa l’ultima moda dell’editoria internazionale. In un’epoca decadente, piena di incognite, è sorprendente assistere al ritorno di abitudini stravaganti del passato. Anche i libri non fanno eccezione. Nel medioevo i libri erano per pochi, sia per i costi sia per il numero di persone alfabetizzate; i libri erano perciò un bene di lusso ed elitario: grandi incisioni e decorazioni fatte anche con pietre preziose completavano questi manufatti che in fondo non erano pensati per essere letti, quanto per essere ostentati. Ma il codex Gigas, scritto nel XIII secolo con i suoi 72 chilogrammi e 90 centimetri, oggi è nulla di fronte ai “nuovi” libri: con 1500 chilogrammi e un formato “tascabile” di 5 per 8 metri il Guinness dei primati è stato assegnato nel 2012 al “This the Prophet Mohamed” edito Mshahed International Group (Emirati Arabi Uniti). Anche se consideriamo il numero di pagine la contemporaneità ci regala sorprese: Breeze Avenue di Richard Grossman vanta 3 milioni di pagine. E non sono rarità: il grande formato in editoria sembra funzionare e su tutte le piattaforme online si trovano decine e decine di libri in cui la dimensione è un elemento caratterizzante. SUMO di Helmut Newton del 1999 è uno dei capostipiti di questa moda: se è innegabile che i primi libri contemporanei di massa sono stati quelli di fotografia, oggi il grande formato si ritrova tanto nelle illustrazioni, quanto nel design, nella moda e persino nel calcio.
La questione su cui riflettere è perciò il gigantismo che accomuna ogni lato del nostro vivere e che si espande fino a coinvolgere il mondo dell’editoria. La crisi energetica e il prezzo schizzato alle stelle della carta (+ 90% nel 2021) hanno messo in crisi i quotidiani, ma non sembrano aver impattato libri di svago e lusso. Una riprova? Le più recenti pubblicazioni di Valentino “Valentino Rosso” (6,5 chili di peso) o l’ultimo volume della serie Sfilate de L’Ippocampo editore su Chloè sono semplicemente enormi, quasi a trascendere la loro essenza fungibilità di libro per definirsi piuttosto quale oggetto da collezione. Non a caso nei servizi di arredamento delle case di lusso gli ultra noti e blasonati tavoli da salotto sono sempre “impreziositi” da grandi e fotogenici libri. Del resto come dimenticare i messaggi alla nazione di Silvio Berlusconi pronunciati di fronte a una libreria solo disegnata senz’altro non da Claudio Parmiggiani?
Negli ultimi anni viene sempre più messa in discussione la stessa sopravvivenza della cultura, con un analfabetismo di ritorno del 30% (nel 2019 dati Fondazione Feltrinelli). Si legge sempre di meno per informarsi sulla quotidianità, sempre di più per svago: basti pensare al boom +235% di vendite del fumetto e dei libri su giochi nel 2021. Il problema è che ai tempi della società dell’immagine bisogna distinguere la vendita dei libri dalla loro lettura. Se il Covid ha limitato momentaneamente le nostre fonti di svago, la lettura è nell’epoca post pandemica un’azione controcorrente, una scelta sempre più difficile da fare. Leggere è un gesto e una prova di volontà nella misura in cui è un gesto privato che richiede tempo di qualità, ovvero concentrazione, due elementi che al giorno d’oggi contrastano con una vita frenetica in cui i social – per lo più visivi – hanno la meglio. E allora che la strategia per vendere libri è quella di trasformarli in oggetti… bellissimi, preziosissimi, rarissimi, pesantissimi, rappresentazione di uno status o di ciò a cui si vorrebbe aspirare, né più né meno che una borsa griffata. Chissà se poi mai verranno lette le parole stampate sopra. Potremmo allora forse ritornare anche alla lettura pubblica dei libri come nel medioevo: almeno sarebbe una nuova forma di socializzazione della cultura, un modo per aprire questi “bellissimi” nuovi libri.