Il deputato ed ex ministro Maurizio Lupi (Noi moderati) ora ce l’ha con l’offerta di lavoro “congrua“. Ha deciso che quella parola va tolta dal decreto del 2019 che disciplina l’erogazione del reddito di cittadinanza perché “vuol dire tutto e niente“, ha spiegato mercoledì al fattoquotidiano.it. “Se rifiuti un lavoro perdi il reddito, punto”. Tralasciando il pasticcio nel testo del suo emendamento alla manovra, e il fatto che poche ore dopo ha cambiato versione (sostenendo che il tutto varrà solo per “coloro che per ben due volte hanno avuto la proroga del Reddito”), Lupi sembra aver dimenticato qualcosa. Cioè che sedeva nelle file della maggioranza quando il governo Renzi – di cui fino a pochi mesi prima era stato ministro – ha disciplinato il concetto di offerta congrua in uno dei decreti attuativi del Jobs Act.
Si tratta del decreto 150 del 14 settembre 2015, dedicato ai servizi per il lavoro e le politiche attive. L’articolo 25 si intitola “Offerta di lavoro congrua”. Il reddito di cittadinanza ovviamente non c’entrava, visto che avrebbe visto la luce solo quattro anni dopo. Ma l’esecutivo guidato dall’allora segretario Pd e sostenuto dal Nuovo centrodestra in cui militava Lupi aveva ritenuto necessario fissare dei parametri di accettabilità delle offerte di lavoro presentate ai beneficiari delle indennità di disoccupazione. Il compito di definirli era demandato ad Anpal e ministero del Lavoro, ma i paletti da rispettare venivano messi nero su bianco: “coerenza con le esperienze e le competenze maturate“, “distanza dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico”, “retribuzione superiore di almeno il 20 per cento rispetto alla indennità percepita nell’ultimo mese precedente”. Norme di buon senso nell’ambito di una riforma del lavoro di cui Lupi di dichiarava entusiasta: il 30 settembre di quell’anno – non più ministro perché, pur non indagato, si era dimesso dopo il caso del Rolex regalato al figlio dal costruttore Perotti – l’ha definita “una delle più importanti di questo governo, portate a segno grazie alla ruolo determinante di Maurizio Sacconi e del Nuovo Centrodestra”.
Nell’aprile 2018 – governo Gentiloni, sostenuto anche dalla Alternativa popolare in cui era nel frattempo confluito Lupi – il ministero del Lavoro su proposta dell’Anpal ha varato il decreto ministeriale con tutti i dettagli: per esempio l’offerta doveva essere per un contratto di almeno tre mesi, con un orario pari ad almeno l’80% di quello dell’ultimo contratto avuto dal disoccupato e una retribuzione non inferiore ai minimi salariali stabiliti dai contratti collettivi. La distanza da casa non poteva superare i 50 km nel caso la disoccupazione durasse da meno di un anno, 80 km per i disoccupati di lungo periodo.
Nel decreto del 2019 sul reddito quei parametri sono stati poi ripresi – tra gli obblighi c’era quello di “accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 150 del 2015” – e adattati ai beneficiari, in alcuni casi emendando direttamente il testo del 2015: per esempio è stato stabilito che per i percettori la paga deve superare di almeno il 10% il livello massimo del rdc percepibile da un single ed essere quindi superiore a 858 euro. Tetto modificato con la scorsa legge di Bilancio: ora la cifra va “ri-proporzionata in base all’orario di lavoro previsto nel contratto”. Quanto alla lontananza, all’inizio era previsto che fossero congrue una prima offerta entro 100 km e una seconda offerta entro 250. La distanza ammissibile aumentava dopo i primi 12 mesi di fruizione del rdc e per chi avesse ottenuto il rinnovo del reddito per altri 18 mesi diventava congrua un’offerta in qualsiasi parte del Paese. Poi il governo Draghi ha eliminato a distinzione legata alla durata dell’aiuto, stabilendo che la prima offerta sia sempre congrua solo se entro 80 chilometri dalla residenza ma già dalla seconda, a patto che sia a tempo indeterminato, non ci sia più alcun limite.
Per effetto delle modifiche approvate la scorsa estate, già ora rischia si perdere il beneficio non solo chi rifiuta un’offerta di lavoro congrua proposta da un Centro per l’impiego ma anche chi dice no alla chiamata diretta di un datore di lavoro privato. Con la versione iniziale della manovra il governo Meloni ha poi ridotto a una sola l’offerta congrua rifiutabile – anche prima del rinnovo – pena la perdita del reddito. Ora Lupi vuole la deregulation totale, evidentemente anche sui compensi. Per ottenerla spara sulla congruità. Ma scorda i tempi in cui esultava per i decreti del Jobs Act.