L’ennesimo misunderstanding mediatico, nato probabilmente dalla foga di voler nuovamente attaccare il governo Meloni in materia di digitale, questa volta riguarda la paventata abolizione della ricetta medica elettronica: l’allarme è stato lanciato da diverse associazioni di categoria, ma la realtà sembra essere ben diversa.

Il governo non ha mai davvero detto di voler eliminare la “ricetta dematerializzata” (sarebbe più corretto utilizzare il termine “ricetta elettronica” o “ricetta medica digitale”) che rimane (ovviamente) in vigore secondo le recenti normative ministeriali in materia che partono dal Decreto interministeriale del 2 novembre 2011, ma piuttosto si sta mettendo in discussione la ragion d’essere di una pericolosa prassi adottata nel periodo emergenziale del Covid, ossia quella dell’invio del cosiddetto promemoria dematerializzato da parte dei medici competenti, gestito attraverso protocolli inaffidabili e che mettono quindi a repentaglio i dati sanitari dei cittadini interessati.

Ai tempi del Covid, infatti, si è pensato bene di evitare la consegna cartacea di questo promemoria per l’assistito, ma di dare la possibilità di consegnarlo in forma digitale, quindi telematicamente. Qui il Legislatore (o meglio, il Dipartimento della Protezione Civile) si è sbizzarrito, prevedendo la possibilità per il medico prescrittore di rilasciare l’intero promemoria in forma dematerializzata (e non solo – e più correttamente – il semplice numero della ricetta elettronica) tramite sms, WhatsApp e persino in allegato a messaggi e-mail. Tutti sistemi notoriamente non sicuri e da evitare in caso di invio di informazioni piuttosto delicate, perché contengono dati sanitari.

È giusto ricordare che i protocolli e-mail sono paragonabili all’invio di una cartolina cartacea. E lo stesso WhatsApp, seppur consente un invio crittografato, è in mano a un provider estero…

Qui non si sta mettendo in discussione la ricetta dematerializzata, che è ormai strutturale per il Ssn e prevede da tempo la possibilità per il medico prescrittore, avvalendosi di una specifica applicazione informatica, di compilare la documentazione (una volta cartacea) tramite il Sistema Tessera Sanitaria (TS), trasmettendo i dati delle ricette elettroniche al Sistema di Accoglienza Centrale (SAC o, se il sistema è regionale, SAR), il quale registra a sistema le stesse informazioni richieste dalla ricetta rossa cartacea, mettendole a disposizione di medici e farmacie. È bene ricordare, quindi, che gli assistiti già ricevevano da tempo dal proprio medico un semplice promemoria (cartaceo) da esibire alla propria farmacia in modo da poter ricevere il farmaco anche nel caso in cui il sistema TS avesse dei problemi: tutto dematerializzato (salvo il promemoria), garantito nella sicurezza informatica attraverso accessi controllati e piuttosto semplice nella sua implementazione.

La prassi adottata in emergenza Covid ha sì aggiunto il tassello dell’invio telematico anche del promemoria, ma attraverso canali da considerarsi poco affidabili in termini di sicurezza, mettendo a rischio i nostri diritti e libertà fondamentali.

Credo (e spero) pertanto che le uniche intenzioni del governo siano solo quelle di consentire che il sistema evolva ulteriormente evitando la consegna di questi promemoria attraverso canali telematici inaffidabili. I documenti digitali, del resto, non dovrebbero essere mai trasmessi come allegati, ma resi solo accessibili ai soggetti interessati (in questo caso medici, farmacie e assistiti). Se il sistema TS è sicuro e stabile allora affidiamoci a esso con fiducia e garantiamo accessi controllati a tutti, soprattutto agli assistiti, che dovrebbero poter accedere direttamente al SAC per consultare e scaricare le proprie ricette elettroniche (e non solo i relativi promemoria più o meno dematerializzati). Una possibilità, questa, già prevista in realtà dal 2020, ma mai realizzata.

Se l’intenzione è quella di dare finalmente attuazione a queste previsioni, come credo, allora è un’intenzione corretta e oserei dire ovvia quella di rafforzare il sistema senza consentire più tali invii di informazioni sanitarie su canali telematici poco sicuri, anche perché in linea con le (giustamente rigide) raccomandazioni in materia di sanità digitale del Garante per la protezione dei dati personali (e dovremmo chiedere con forza al governo di andare avanti nel perseguirla).

Tuttavia, la strada ormai inevitabile sembrerebbe quella della ennesima proroga (nel solito decreto Milleproroghe) di un anno per il promemoria digitale. D’altronde è questa l’Italia delle continue proroghe, che preferisce continuare ad assecondare prassi consolidate, spaventata dai polveroni mediatici, piuttosto che affidarsi alla bussola della logica. Non c’è da rallegrarsi, quindi: continueremo ad affidarci a sistemi poco sicuri senza invece lavorare ad un sistema unitario che sia affidabile e sicuro, come già dovrebbe essere quello che regge la nostra sanità digitale. Solo così potremo finalmente “uscire” non dalla pandemia, ma dall’arretratezza che caratterizza il nostro Sistema Paese.

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