Scrivere la Storia della musica è impresa terribilmente difficile, assai più che confezionare una Storia dell’arte o della letteratura. Il motivo è semplice. L’arte visiva – pittura, scultura, architettura – si vede, si guarda: con gli occhi indugiamo per tutto il tempo desiderato su un dipinto, una statua, un palazzo, ne mettiamo a fuoco via via disegno, colore, particolari. Possiamo così descrivere oggetti, figure e paesaggi, siano essi rappresentati nel dettaglio in una miniatura fiamminga del Quattrocento o dissestati e squinternati in un quadro di Picasso. Per la letteratura si fa riferimento a un testo scritto, poesia o prosa che sia: si leggono le parole, le si commenta, si coglie man mano il messaggio profondo che esse trasmettono.
La musica invece scorre via, sparisce, non rimanda a una realtà esterna, occorre coglierne la forma mentre essa diviene. E poi, cosa ancor più difficile, per spiegarla vanno tradotti i suoni in parole: va raccontato il discorso musicale mediante immagini verbali. Non è uno scherzo. D’altra parte, se vogliamo che il pubblico, a cominciare dai giovani nelle scuole, si accosti alla musica d’arte – quella che per comodità chiamiamo ‘classica’ –, dobbiamo fornire manuali, libri di testo che consentano di addentrarsi in quest’arte meravigliosa e sfuggente.
Molti docenti – dell’Università, dei Conservatori, delle Scuole – hanno avvertito tale esigenza e l’hanno affrontata. Non mancano perciò Storie della musica di varia ampiezza e concezione. In questo campo, giganteggia il contributo dato nei decenni da Elvidio Surian: istriano, esule a Chioggia, si è formato come musicologo a New York, dal 1973 ha lavorato nel Conservatorio di Pesaro come bibliotecario e soprattutto come insegnante di Storia della musica. Con i quattro tomi del suo Manuale di Storia della Musica, usciti a Milano da Rugginenti nel 1991-1995, e poi spesso ristampati con aggiornamenti (i più recenti dal 2018 al 2021), ha introdotto in Italia il quadro, saldo e razionale, della manualistica nordamericana, garantendo così l’accesso a un panorama ampio e ragionato alla difficile disciplina. I quattro volumi sono distinti per epoche: (1) Dalle origini alla musica vocale del Cinquecento; (2) Dalla musica strumentale del Cinquecento al “periodo classico”; (3) L’Ottocento: la musica strumentale e il teatro d’opera; (4) il Novecento. Quest’ultimo, 2021, si è arricchito di un capitolo di Fabrizio Basciano sulla storia della popular music e del jazz.
L’opera di Surian ha segnato una svolta importante per l’acquisizione dei contenuti musicologici nei Conservatori e nelle Università. Lo stile piano, gli esempi musicali mirati, la contestualizzazione chiara hanno consentito a molti giovani di impossessarsi dei fondamenti della disciplina, con risonanze efficaci anche sul piano della cultura generale.
Surian si è dedicato à côté anche alla riscoperta e valorizzazione della musica nelle Marche. Per festeggiare i suoi ottant’anni allievi e ammiratori gli hanno dedicato una monumentale miscellanea nella serie dei “Quaderni musicali marchigiani” (Milano, Rigginenti, 2022). Curata da Graziano Ballerini, contiene una trentina di saggi storici eruditi. Cito solo due contributi. Laura Surian, in una nota biografica e bibliografica, dà la misura dell’impegno musicologico a tutto campo di suo padre. Ausilia Magaudda discute l’organizzazione del Manuale, ne analizza punto per punto i lati più efficaci e quelli meno incisivi. Il che è un bel modo di prendere sul serio la disciplina e lo studioso che si festeggia.