“La guerra al Reddito di cittadinanza del governo Meloni è un’operazione puramente ideologica, che non regge nemmeno sul piano economico perché il poco che risparmia si tradurrà presto in maggiori costi per lo Stato”. E’ una bocciatura netta quella di Enrica Morlicchio, docente di sociologia economica alla Federico II di Napoli impegnata nello studio della povertà e delle diseguaglianze. “Sono addolorata perché quanto vediamo oggi è colpa anche di quei settori della sinistra che per competizione con il Movimento 5 stelle non hanno difeso i principi dietro al Reddito di cittadinanza”. Che, ribadisce, “è innanzitutto una misura di contrasto alla povertà alla quale si accede perché si è poveri, non disoccupati. E infatti tra i beneficiari c’è chi un lavoro ce l’ha, ma non gli basta per vivere”. Poco importa, sembrano dire invece le ultime novità inserite in legge di Bilancio, basate come sono su una rinnovata definizione di occupabilità che la sociologa non condivide. Dal sussidio ridotto a sette mesi per i cosiddetti occupabili, fino al tentativo di cancellare l’offerta congrua di lavoro. “Il segnale è chiaro: devi accettare qualsiasi lavoro, a qualunque condizione e distanza”, traduce la sociologa. “Sembra di tornare all’Italia degli anni cinquanta, con le baraccopoli cresciute intorno a città come Milano e Roma, dove finiva chi immigrava per un lavoro”.
“Di recente un signore ha voluto farmi notare che trova i percettori del Reddito simili ai polpi: adagiati sul fondo del mare. Perché, mi ha spiegato, “anch’io prendo la disoccupazione, ma almeno mi do da fare”, convinto com’era che i beneficiari del Rdc non facessero altrettanto. E’ il risultato di un’operazione con la quale hanno saputo mettere i poveri contro i poveri, racconta e spiega Morlicchio, autrice de La povertà in Italia con Chiara Saraceno e David Benassi (Il Mulino). “Un’operazione alla quale, per competizione col M5s, si sono prestati anche settori della sinistra”, aggiunge ricordando come, tra gli altri, anche il governatore dell’Emilia Romagna e attuale candidato alla segreteria del Pd, Stefano Bonaccini, un paio d’anni fa usasse frasi come “è più dignitoso alzarsi dal divano che prendere l’assegno”. “Esiste ormai una elite che non vede più il mondo com’è realmente, che nega la natura umana delle persone più povere: c’è stata un’educazione alla mancanza di solidarietà“, ragiona la sociologa. Nulla di cui stupirsi, dunque, di fronte alle scelte del governo, “che è espressione di un blocco economico e sociale compatto, degli interessi più conservatori del Paese”, dice. E però avverte: “Contentare un elettorato manipolato ad arte, com’è in parte ciò a cui assistiamo con la stretta imposta al Rdc, ricadrà anche su una porzione di quello stesso elettorato: persone convinte che il Reddito vada abolito tra le quali ci sono molti potenziali percettori”.
Perché la povertà che in Italia riguarda ormai milioni di persone “è una povertà familiare, non legata tanto a eventi biografici, ma a una condizione che si eredita“, spiega. “Sono famiglie molto simili alle altre, la distanza non è tanta, basta poco per trovarsi a chiedere il Reddito di cittadinanza. Allo stesso tempo questo significa che in molti di questi nuclei ci sono anche le risorse per per tirarsi fuori, ma vanno attivate, non abbandonate. E può funzionare solo se le persone vengono aiutate per il tempo necessario”. I sette mesi di sussidio concessi a chi viene considerato occupabile non sono sufficienti? “Sette mesi? E poi che succede? Non mangiano, non si curano? Il Reddito non è per persone in povertà relativa, ma assoluta. Dopo sette mesi cosa diciamo loro, che abbiamo scherzato? La povertà è un male dal quale si deve guarire e purtroppo ci vuole tempo”, spiega. “Per non parlare della continua rimozione del problema dei working poor, che in Italia registra l’incidenza più alta d’Europa. Anche una parte dei percettori di Reddito che vogliamo ributtare nel mercato del lavoro vengono esattamente dal mercato del lavoro, che però non gli garantisce di uscire dalla povertà”. E ancora: “Considerare occupabili tutte le persone tra i 18 e i 60 anni solo perché non hanno figli o disabili in famiglia è un’illusione che costerà cara”.
Secondo Morlicchio, infatti, il governo fa male i suoi conti. “Il previsto risparmio di un miliardo si trasformerà in un aggravio per il bilancio dello Stato: avremo più adulti in difficoltà, con esigenze di trattamenti psicologici e sanitari in genere, bambini e adulti con dieta inadeguata con esigenze di cure mediche, più persone troppo impegnate a dover mettere insieme il pranzo con la cena e non in grado di seguire i figli che lasceranno la scuola. Non si vuole capire che le politiche di welfare hanno un ritorno anche in termini economici oltre che di giustizia sociale”. La conferma arriverebbe proprio dall’esperienza del Reddito: “Molti dentisti mi hanno segnalato nuovi pazienti pediatrici che accedevano alle cure grazie al Reddito di cittadinanza dei genitori. Questi bambini torneranno a non curarsi?” Non solo: “L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha intervistato un campione rappresentativo di beneficiari: grazie alla misura il 54% dichiarava di aver migliorato il suo stato di salute, il 50% di avere più tempo per seguire i figli e il 64% di aver sviluppato maggiore fiducia nelle istituzioni”.
Al contrario si riduce il sussidio per gli occupabili e ci si prepara a cancellare l’offerta congrua così che ogni lavoro va accettato pena la decadenza immediata dal Rdc. “Sette mesi: vien da pensare che li si voglia pronti per la stagione estiva, perché accettino qualunque lavoro stagionale purché sia, anche a 300 chilometri di distanza. Significa tornare a sistemi di produzione della ricchezza che ci siamo lasciati alle spalle decenni fa, obbligando gli italiani a condizioni di cui oggi sono vittime gli immigrati di primo arrivo”. E’ la fine del Reddito di cittadinanza? “Mi auguro di no, anche perché l’Europa chiede di andare in direzione opposta, a partire dalla Commissione europea che raccomanda un rafforzamento delle misure di reddito minimo. Non ci possiamo permettere di mantenere una quota così elevata di persone in condizioni di vita così precarie perché questo mina il tessuto sociale tutto. Dobbiamo avere una misura efficace, non è una cosa che possiamo evitare perché al governo non piacciono i poveri”.