Secondo le stime realizzate da ilFattoQuotidiano.it e Innovative Payments, se il credito di imposta corrisposto ai commercianti fosse del 30% delle commissioni pagate, il costo si aggira intorno ai 228 milioni. L’esecutivo ha istituito un tavolo di lavoro per assicurare ai commercianti un “livello dei costi equo e trasparente”
Dopo la retromarcia del governo sull’innalzamento a 60 euro dell’obbligo per i commercianti di accettare i pagamenti con Pos, rimane il nodo di come restituire agli esercenti le commissioni pagate sulle transazioni con moneta elettronica. Perché questo ha annunciato di voler fare l’esecutivo che intanto si è dato altri 90 giorni di tempo, da quando la legge di bilancio entrerà in vigore, per trovare una soluzione. Un’ ipotesi è quella di prolungare il credito di imposta per le microtransazioni sotto i 30 euro. Una politica che sarebbe in piena continuità con il governo Conte, che la introdusse con il piano Cashless nel 2020 al 30%, e con quello di Mario Draghi, che per sei mesi estese il rimborso agli esercenti al 100%. In tal caso, di fatto, il costo delle commissioni pagate dai negozianti finirebbe di nuovo a carico della collettività. Ma di quali cifre stiamo parlando?
Quanto costa il credito di imposta – Secondo le stime realizzate da ilFattoQuotidiano.it con l’aiuto dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, il valore totale delle commissioni pagate quest’anno ammonta a 761 milioni di euro. La cifra è calcolata a partire dai 173 miliardi di ricavi e compensi (dato ricavato dalle dichiarazioni Iva 2018, prese a modello anche in una relazione tecnica del 6 luglio 2021) incassati. Come indica l’Osservatorio, circa il 41% degli acquisti è stato fatto con moneta elettronica, per un controvalore di 69 miliardi. È su questa cifra che si calcola la commissione media dell’1,1%, suggerita anche dall’Associazione Bancaria Italiana. Risultano quindi 761 milioni di euro versati alle banche, appunto.
La cifra naturalmente scende se si considerano solo gli acquisti al di sotto dei 30 euro? Secondo l’Osservatorio del Politecnico, la cifra si aggira in questo caso intorno ai 363 milioni. Il costo del credito di imposta dipenderà anche dalla percentuale che il governo deciderà di risarcire agli esercenti e dal tetto delle transazioni sotto cui sarà garantito. Il 30% di tutte le commissioni corrisponde a 228 milioni, la stessa percentuale ma per le sole commissioni sotto i 30 euro si ferma a 109 milioni.
Stabilire la percentuale media esatta delle percentuali pagati alle banche è delicato. Per Innovative Payments il valore da applicare è l’1,5%, ma la forchetta è ampia e comprende cifre poco al di sotto dell’1%, così come altre al di sopra del 2%. La commissione suggerita dall’Associazione Bancaria Italiana, quindi, è un punto di incontro accettato da quasi tutti i ricercatori.
Quanto pagano di commissioni i commercianti –“Molto dipende dal modello di business e dal potere negoziale dei singoli esercenti”, chiarisce il direttore dell’Osservatorio Innovative Payments Ivano Asaro. Ciò significa che più alto è il fatturato di un negozio, più basse sono le commissioni che deve pagare sulle transazioni. Per avere una idea, si può considerare questa media: un ristorante che abbia ricevuto pagamenti con carte di credito e Bancomat per un totale di 150mila euro, dovrà pagare a fine anno 1.650 euro di commissioni. Un altro esempio: una panetteria con un giro d’affari digitale di 80mila euro avrà ogni dodici mesi 880 euro da versare alle banche, mentre un parrucchiere con 100mila euro di ricavi fatti con il Pos avrà commissioni per 1.100 euro. Cifre molto più basse di qualche anno fa, perché le commissioni sono già state ridotte. Asaro spiega: “Il caso più classico è che il Pos preveda un canone mensile o annuale più una percentuale sull’importo della transazione” – prosegue il direttore dell’Osservatorio – “mentre prima per ogni acquisto c’era una percentuale sul transato e anche una commissione fissa di qualche centesimo”.
Inoltre, partendo da dati Istat, si può costruire un quadro esemplificativo per ogni categoria merceologica. Nel 2021 la spesa per pane e cereali ha superato i 27 miliardi, di cui 11 miliardi pagati con Bancomat o carte di credito. Ipotizzando una commissione dell’1,1%, si arriva a una cifra da corrispondere alle banche di 121 milioni. Per l’abbigliamento, sempre nel 2021 la spesa totale ha superato i 46 miliardi, di cui 209 milioni di commissioni. Quindi per risarcire con credito di imposta al 30% panettieri e negozi di vestiti servirebbero rispettivamente un massimo di 36 e 63 milioni di euro.
Le coperture – L’intenzione è di restituire ai commercianti le commissioni versate alle banche sui pagamenti sotto i 30 euro effettuati con moneta elettronica. Per capire come, sarà istituito un tavolo permanente, che mette insieme le associazioni di categoria dei venditori, i prestatori dei servizi di pagamento e i gestori di circuiti. È quanto contenuto in un emendamento bipartisan approvato in Commissione bilancio e che sarà applicato a tutti gli esercizi commerciali con fatturato annuo inferiore a 400mila euro. Obiettivo: trovare un “livello dei costi equo e trasparente” entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio. Se non si riuscirà a raggiungere un accordo tra le parti, le banche dovranno garantire un “contributo straordinario” per tutto il 2023. Il 50% degli utili al netto degli oneri fiscali derivanti dalle commissioni e altri proventi per le transazioni inferiori a 30 euro, da versare in un fondo apposito. Fondo che secondo le stime di Innovative Payments vale circa 181 milioni di euro. Il calcolo è fatto a partire dai 33 miliardi dalla stima di transato elettronico del 2022 per acquisti al di sotto dei 25 euro. Un valore quindi leggermente a ribasso, ma comunque sufficiente a coprire il credito di imposta al 30% limitato alle transazioni sotto i 30 euro, che – come detto – avrebbe un costo complessivo per lo Stato di 109 milioni.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Egregio direttore, è importante precisare che l’Associazione Bancaria Italiana non suggerisce, né indica e neppure effettua rilevazioni statistiche sui livelli di commissioni applicate agli strumenti di pagamento, né ad alcun altro ambito di attività delle banche, nel più assoluto rispetto di severe normative Antitrust che, a livello italiano ed europeo, vietano tali iniziative, e del proprio Statuto, che “promuove la cultura della legalità, della sana e prudente gestione bancaria, la conoscenza e la coscienza dei valori etici e sociali, dei comportamenti ispirati ai principi della corretta imprenditorialità e di realizzazione di un mercato libero e concorrenziale”.
Piero Gaggi
Vice direttore Generale ABI
La percentuale dell’1,1% è stata pubblicata dall’agenzia di stampa Askanews il 18 novembre 2019: “In Italia le commissioni sui pagamenti digitali sono all’1,1%, inferiori alla media europea dell’1,2%. Lo ha sottolineato il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli”. Tale percentuale è stata attribuita ad Abi anche dal professor Leonzio Rizzo, che la cita tra l’altro in un articolo pubblicato su il Foglio lo scorso 15 dicembre: “La commissione media pagata in Italia, pari all’1.1% (Abi)”. L’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano conferma la validità di questo dato, da prendere, come scritto nell’articolo, come una media generale.
G.C.