Cultura

Monuments men (e women): le fantastiche storie di chi salvò l’arte italiana dal saccheggio nazista. Una mostra, un film e un libro li raccontano

Nel 2014 ebbe grande successo il film di George Clooney sul gruppo che durante il conflitto mondiale si prese cura del patrimonio culturale europeo. Ma quella guerra parallela, durante la Liberazione da fascismo e nazismo, si combatté soprattutto in Italia. Da Fernanda Wittgens per esempio, prima donna a dirigere la Pinacoteca di Brera a cui Rai1 dedicherà un titolo per la tv. Alle Scuderie si è aperta un'esposizione con oltre 100 opere "salvate" all'epoca. E in libreria arriva "Tutti gli uomini di Venere" che ricostruisce gran parte di quelle storie

di Marco Ferri

Basato sul libro dello scrittore americano Robert Morse Edsel, nel 2014 usciva nelle sale cinematografiche italiane Monuments men con George Clooney nelle vesti di regista e protagonista – insieme ad altri validi attori – della libera interpretazione delle storie di un gruppo di uomini che, durante la seconda guerra mondiale, si presero cura di gran parte del patrimonio culturale dell’Europa. La critica non diede segni d’entusiasmo, ma al botteghino la pellicola fu un successo e, soprattutto, dimostrò che a distanza di 70 anni occorreva un approfondimento (più che altro di carattere divulgativo) su una questione che poteva sembrare banale, cioè il salvataggio del patrimonio culturale nazionale durante l’ultimo conflitto mondiale.

Forse non riusciamo neanche a immaginarci che cosa sarebbe oggi l’Italia se la guerra avesse distrutto opere d’arte capitali come La Venere Callipigia del Museo Archeologico di Napoli, la Basilica di San Pietro in Vaticano a Roma, il David di Michelangelo a Firenze o il Cenacolo Vinciano di Milano. Se ciò fosse accaduto, probabilmente oggi il nostro paese susciterebbe un’attrattiva minore e i milioni di turisti che ogni anno scelgono di compiere un viaggio nel Belpaese anche per inchinarsi davanti a questi totem o picchi d’eccellenza dell’arte occidentale, forse andrebbero altrove. Anche a questa nostra fortunata congiuntura hanno contribuito – magari senza saperlo – quei militari che per anni scorrazzarono in lungo e in largo per collaborare coi vari funzionari e dirigenti italiani che da soli non ce l’avrebbero mai fatta a salvare il patrimonio.

Come scritto, oltre a far luce su certe storie, il film contribuì a svelare all’opinione pubblica l’opera di coloro che, si che fossero in uniforme o meno, combatterono una guerra parallela a quella, fondamentale, per la liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. È probabilmente per questo motivo che il lavoro di scavo sulle pieghe del passato da quel 2014 non si è mai fermato e, anzi, offre sempre nuovi, interessanti risultati di conoscenza e discussione.

Per esempio nel 2023 Rai1 trasmetterà Fernanda Wittgens, film per la tv dedicato alla prima donna a dirigere la Pinacoteca di Brera, a Milano. Tutto inizia nel 1928 quando la giovane donna viene assunta nella storica istituzione meneghina con il ruolo più umile, “operaia avventizia” nonostante la laurea in Lettere e la specializzazione in Storia dell’Arte. In breve tempo però l’allora direttore Ettore Modigliani ne comprese il valore e il talento e nel 1931 la nominò sua vice, affidandole l’incarico di organizzare una mostra di arte italiana a Londra che riscosse un grande successo. Nel 1941, quando Modigliani fu costretto a lasciare il Paese per via delle leggi razziali, Fernanda ne prese il posto, ricoprendo il ruolo di sovrintendente nel periodo più difficile della storia italiana, contribuendo a mettere in salvo, scortando le opere personalmente nei vari nascondigli in giro per l’Italia, il prezioso patrimonio artistico conservato nella Pinacoteca dalle razzie naziste e dai bombardamenti. Oltre ai dipinti, Fernanda aiutò numerosi amici ebrei a salvarsi dai campi di concentramento nazisti: per questo suo eroico impegno fu arrestata e rinchiusa a San Vittore fino al 1945.

Da Milano a Roma: alle Scuderie del Quirinale di Roma si è inaugurata Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra, la mostra curata dal direttore della Galleria Nazionale delle Marche, Luigi Gallo, e dalla storica dell’arte Raffaella Morselli, che proseguirà fino al 10 aprile 2023. L’esposizione offre una selezione di oltre 100 opere salvate durante la seconda guerra mondiale, oltre che un ampio panorama documentario, fotografico e sonoro – riuniti grazie alla collaborazione di ben 40 tra musei ed istituti – per un racconto avvincente ed emozionante. Nelle intenzioni dei curatori la mostra è anche un doveroso omaggio alle donne e agli uomini che, nella drammaticità della guerra, interpretarono la propria professione in maniera inconsueta, ponendo davanti a tutto l’interesse comune, coscienti dell’universalità del patrimonio da salvare.

Al centro del progetto espositivo, infatti, vi è l’azione lungimirante di tanti soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti – spesso costretti al riposo per aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò – che, coadiuvati da storici dell’arte e rappresentanti delle gerarchie vaticane, si resero interpreti di una grande impresa.

Ad arricchire le testimonianze di quel periodo fondamentale per la storia del patrimonio culturale italiano è da poco uscito il libro dell’autrice padovana Ilaria Dagnini Brey Tutti gli uomini di Venere. Quando gli Alleati salvarono le opere d’arte italiane (edizioni Elliot, 408 pagine, 20 euro). Attraverso una dozzina di capitoli ordinati in maniera sia cronologica, sia geografica, l’autrice ricostruisce vicende note e poco note legate al salvataggio del patrimonio culturale, sostenuta da un poderoso apparato di documenti grondanti di passione e tenacia. Con una scrittura coinvolgente Dagnini Brey ci cala in una realtà che si può immaginare lontana da quella che si legge sui libri di scuola, ma che così non è. Infatti l’idea che la vittoria militare non fosse la sola posta in gioco per gli eserciti alleati in Europa e che addirittura una civiltà millenaria andasse salvaguardata era senza precedenti.

Ecco perché un gruppo di “addetti ai lavori” tra storici dell’arte, archeologi, artisti e architetti armati di mappe e di guide, i Monuments Officers furono una presenza singolare, ma importante, sui campi di battaglia. Ribattezzati Venus Fixers, cioè “aggiustaveneri”, da generali e commilitoni scettici, questi antesignani dei caschi blu della cultura, istituiti la scorsa primavera, percorsero la Penisola dalla Sicilia all’Alto Adige all’inseguimento di preziosi capolavori trafugati dai nazisti e intervenendo su chiese, palazzi, musei e biblioteche danneggiati dalle bombe.

Trovarono nell’attaccamento e nell’appassionata competenza dei soprintendenti italiani un prezioso alleato e oggi, chiunque ammiri oggi il nostro patrimonio culturale è, in parte, loro debitore. Tutti, ma proprio tutti dovremmo ricordarcene più spesso.

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