A distanza di dieci mesi dall’invasione dell’Ucraina, e dopo l’annessione degli oblast del Donbass, Putin tra un missile e l’altro si dichiara disposto a negoziare la pace, mentre ogni giorno affiorano nuove prove dei crimini compiuti dai militari russi contro la popolazione dell’Ucraina.
Zelensky diffida, a ragione, dell’offerta di Putin. Molti commentatori hanno tentato di analizzare le cause di questa guerra assurda, ma pochi hanno valutato il quadro di insieme che emerge dalle guerre precedenti di Putin, dai suoi discorsi, dagli strumenti usati per costruire il consenso interno e dall’eliminazione fisica degli oppositori. In effetti le paci di Putin sono sempre state imposte a condizioni gravosissime per l’ex avversario: in Cecenia è stata imposta la dittatura filorussa dei Kadyrov, padre e figlio; alla Georgia sono stati sottratti i territori dell’Abcazia e dell’Ossezia del sud, trasformati in repubbliche autonome filorusse.
I discorsi ufficiali di Putin sono facilmente accessibili, anche tradotti, sul sito del Cremlino. Putin sostiene che l’Ucraina sia una nazione artificiale costruita in epoca sovietica su territorio russo, e che le popolazioni russa e ucraina siano sostanzialmente una unica popolazione. Con la caduta dell’Unione Sovietica (secondo Putin, la più grande tragedia del XX secolo), una distinzione che inizialmente aveva soltanto un valora amministrativo, ha portato alla separazione dell’Ucraina dalla Russia. La Russia nelle parole di Putin sarebbe stata “derubata” delle ex Repubbliche Socialiste Sovietiche, e con questa guerra (e con le precedenti in Cecenia e Georgia) non farebbe altro che riprendersi ciò che è suo. Il popolo ucraino sarebbe stato traviato e allontanato dalla sua culla culturale slava, russa e cristiano-ortodossa, dalle sirene della propaganda americana; soltanto per questo oggi respingerebbe il fraterno abbraccio della grande madre Russia.
Nel 2014 Putin diceva esattamente le stesse cose della Crimea, e nel 2022 le ha reiterate a proposito del Donbass.
I ragionamenti di Putin sono vecchi di un secolo o più: servono a giustificare guerre di conquista, il cui scopo è estendere i confini di un impero, possibilmente fino a ricostituire il territorio dell’Urss a prescindere da quello che vogliono i popoli che oggi abitano le ex Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nella migliore tradizione dei tiranni del passato, Putin ritiene che il terrore sia il mezzo migliore per governare i popoli riottosi e le stragi compiute in Ucraina, Cecenia e Georgia non sono eventi casuali messi in atto da una soldataglia indisciplinata, ma elementi di un progetto imperialista.
La giornalista Anna Politkovskaja aveva già denunciato questo progetto descrivendo i crimini compiuti durante la seconda guerra cecena nel libro Cecenia. Il disonore russo, e pagò il suo coraggio con la vita, come tutti ricordiamo; né lei fu l’unica voce di opposizione ad essere tacitata a colpi di pistola o col veleno: Boris Nemcov, Stanislav Markelov, Natalia Estemirova e molti altri fecero la stessa fine, mentre Alexei Navalny, scampato ad un tentativo di avvelenamento, è attualmente in carcere.
Vecchi di un secolo o più sono anche i metodi usati da Putin per costruire il consenso interno, attraverso il finanziamento di organizzazioni giovanili di sostenitori (i nashi, i kimshki, etc.).
Poiché Putin agli occhi di un europeo è talmente obsoleto da risultare incomprensibile, molti estraggono dai suoi discorsi, magari attraverso resoconti di seconda o terza mano, gli accenni all’estensione della Nato, che minaccerebbe la Russia circondandola. Queste argomentazioni sono futili: qualunque paese è “circondato” da altri paesi e un confine tra Russia e Nato deve esistere; inoltre le guerre di Putin hanno l’effetto di convincere tutti i paesi confinanti con la Russia a cercare il sostegno della Nato, e risultano quindi contrarie allo scopo di evitarne l’espansione.
I pacifisti, che credono alle offerte di pace di Putin, sono purtroppo degli illusi: l’Ucraina pur avendo accettato nel 2014 lo stato di fatto in Crimea, non ha evitato la guerra successiva e la perdita del Donbass, ed è minacciata nella sua esistenza autonoma. Non è neppure chiaro quali altri paesi Putin consideri “rubati” alla Russia: in Lituania, come in Polonia o in Moldavia, i cittadini non dormono sonni tranquilli. Solo in questo senso è vero che la guerra in Ucraina risponde anche ad un interesse, se non della Nato, almeno di quei paesi membri che potrebbero essere oggetto delle mire espansionistiche di Putin.
L’unica speranza plausibile è che la resistenza dell’Ucraina costringa Putin ad accettare almeno una tregua di durata indefinita, senza concessioni territoriali, e che l’opinione pubblica russa si sollevi contro le politiche annessionistiche di Putin.