La figura di Vittorio Adorni è stata ampiamente illustrata nei giorni seguenti la sua scomparsa, avvenuta proprio la vigilia di Natale in una sorta di successione che ha riguardato campioni del ciclismo antico e recente, come Ercole Baldini e Davide Rebellin.

Di Adorni si sono ricordate le vittorie prestigiose, su tutte il mondiale del 1968, lo stile elegante in corsa e anche al di fuori, le capacità relazionali che lo hanno portato a ricoprire ruoli pubblici nello sport e non solo e infine la bella presenza e l’abilità dialettica che lo rese personaggio televisivo, tanto da arrivare, alla fine degli anni Sessanta, alla conduzione di un quiz, Ciao mamma, in onda in prima serata sulla seconda rete.

Senza dimenticarne assolutamente il valore sportivo (certo non io che sono stato suo accanito tifoso, ai miei tempi liceali quando sostituì il precedente idolo, proprio Ercole Baldini), credo che l’aspetto televisivo della sua carriera meriti un approfondimento più sostanzioso di quello finora riservatogli. Non mi riferisco tanto all’esperienza di conduzione appena ricordata, ma al suo ruolo all’interno di quel programma fondamentale nella storia della televisione che fu Il processo alla tappa, il primo talk show della tv italiana.

In quella sorta di commedia dell’arte che andava in scena ogni giorno per tre settimane consecutive in tarda primavera, fatta di maschere, tipi e caratteri, tra un arlecchino compiaciuto delle sue astuzie, un rodomonte focoso, un giovane ingenuo e un altro malinconico, Adorni era il principe saggio e moderato ma con il suo puntiglio. Molti hanno ricordato in questi giorni il suo dialogo con Pasolini, ma per me resta indimenticabile il confronto un po’ piccato con Giuseppe Berto che gli aveva attributo un “male oscuro”, una sorta di inconfessato rancore nei confronti degli avversari. “Certe cose si capiscono solo se si sta dentro al gruppo” fece notare allo scrittore, fresco vincitore di vari premi con il suo romanzo.

Ma quel creatore di televisione che era Zavoli andò oltre l’invenzione del talk. Affidò ad Adorni un compito incredibile, quello di realizzare delle interviste a compagni e avversari durante la corsa, una cosa incredibile per un’epoca in cui era netta e invalicabile la separazione tra la gara e la sua riproduzione tecnica, tra il gesto dell’atleta e il suo commento. Una volta, durante un pranzo di lavoro, Zavoli mi raccontò che il successo dell’esperimento fu dovuto al fatto che nessuno dei corridori credeva che quelle interviste fossero vere, supportate da una tecnologia nuova, pensavano insomma si trattasse di uno scherzo e abboccarono. Adorni riuscì persino a far parlare Anquetil, il campione freddo e calcolatore; gli parlò in francese, non fluentissimo ma credibile, forse grazie alla linea che da sempre lega Parma alla Francia.

In un periodo in cui i ciclisti venivano ancora rappresentati come incapaci di andare oltre il primitivo “ciau mama” e altre sgrammaticature, Adorni era già di un altro mondo.

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