Leggendo oggi l’intervista sulla malavita mafiosa foggiana che Ludovico Vaccaro, procuratore della repubblica di Foggia, ha rilasciato al ilfattoquotidiano.it ho provato un malcelato senso di sconforto. Il drammatico j’accuse di Vaccaro ci dice che in questi ultimi anni non solo la politica non ha fatto nulla per ribaltare e migliorare la situazione foggiana, ma l’ha addirittura peggiorata.
Spiace autocitarsi, ma in questo caso è doveroso. Sono stato questore di quella provincia dal gennaio 2014 al luglio 2017, e dal primo giorno in sede non ho fatto che vedere procura e forze dell’ordine indagare, spesso con ottimi risultati, su omicidi di mafia, bombe, rapine ed estorsioni. E non parliamo di qualche omicidio o bomba, ma di decine.
Dal gennaio 2014 ho inviato appunti a Roma, sono stato ascoltato da commissioni parlamentari, ho partecipato a conferenze e scritto articoli in cui, sempre e comunque, non ho fatto che segnalare, anche con vigore, la grave situazione di quella provincia avvertendo che, se non si fosse intervenuti subito e in modo deciso, negli anni la scia di sangue non solo sarebbe continuata, ma si sarebbe aggravata.
Dal 2018 è il procuratore Vaccaro che stigmatizza la situazione e lancia le medesime accorate e drammatiche segnalazioni. Sono passati ben otto anni da quando abbiamo cominciato a sdoganare all’opinione pubblica il problema Foggia, ma nessuno a Roma ha mai davvero voluto ascoltare. Tante pacche sulle spalle, ma in realtà la situazione non interessa al potere centrale.
È il momento, allora, di dire l’amara verità: alla politica la mafia foggiana, così come tutte le mafie italiane, non importa. Con le organizzazioni mafiose ci conviviamo, ormai sono quasi un’attrazione turistica, ne abbiamo il copyright mondiale, perciò il pensiero dominante è “che si ammazzino fra loro, un bandito in meno”. Chi è schiacciato dalle mafie non parla. Ha paura, non alza la testa, quindi è invisibile, e alla politica non è utile tentare di razzolare voti da gente “che non esiste”.
Tanto più che, come credono molti, gli omicidi dei servitori dello stato sembrano terminati, quindi si pensa “che le mafie non esistono più”. Ciò che è peggio è che a questa messinscena crede, o fa finta di credere, anche la politica, che invece dovrebbe essere il vero tank supercorazzato che muove all’assalto della criminalità mafiosa.
Al netto delle collusioni massonico-politiche, ogni tanto i nostri parlamentari lanciano qualche slogan, ma nei fatti in otto anni cosa si è visto davvero di concreto? Un intervento c’è stato ma, come sempre, solo dopo una strage, e in questo caso parliamo della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, in cui furono uccisi i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, completamente estranei a qualunque dinamica mafiosa, ma testimoni scomodi di un duplice omicidio.
Sulla scia dello sdegno popolare, in provincia di Foggia furono creati alcuni uffici di Polizia, più che altro contentini da distribuire a questo o quel gruppo o movimento politico. Una politica intelligente e seria quegli uffici li avrebbe creati prima, non dopo la strage. Si sarebbe potuto e dovuto fare molto di più. Doveva rinforzare in modo massiccio gli organici delle Forze dell’ordine, doveva creare una sezione distaccata della Dda di Bari, avrebbe potuto inventarsi un ministero per contrastare le organizzazioni mafiose, che ci sottraggono circa 200 miliardi di Pil all’anno fornendolo di un’organizzazione unitaria operante su tutto il territorio nazionale composta da poliziotti, carabinieri, finanzieri, pubblici ministeri, sociologi, psicologi, criminologi, pedagoghi, psichiatri, economisti.
La mafia non è le Br o una banda di rapinatori. La mafia cerca il potere e allora per combatterla serve una specie di sbarco in Normandia istituzionale, non dei contentini da distribuire a questo o quel partito. Abbiamo il ministero della Sovranità alimentare, i dibattiti sui rave party e sull’utilità delle intercettazioni telefoniche, ma della mafia foggiana, palermitana, calabrese, campana chi parla davvero?
Magari lo fa l’ex procuratore Nazionale Cafiero de Raho, oggi parlamentare, ma è una voce isolata ed è all’opposizione. A chi interessano le sue verità, quando alla Giustizia si pensa piuttosto a rivedere lo strumento principe di ogni indagine, cioè le intercettazioni telefoniche? Nell’intervista, Vaccaro lamenta la chiusura, nella provincia, di sedi giudiziarie di comuni ad altissimo tasso di criminalità, con conseguente intasamento di processi presso la sede di Foggia.
Parliamo di una provincia in cui sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose comuni del calibro di Foggia, Cerignola, Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Nonostante le continue segnalazioni delle autorità statali del capoluogo, la gente ha paura di denunciare perché, come dice Vaccaro, non si percepisce la presenza di uno Stato in grado di tutelarla.
È una battaglia persa, in sostanza. I giovani magistrati non scelgono Foggia come sede, dice ancora il procuratore, perché è una città sostanzialmente priva di attrattive, nonostante – posso testimoniarlo – sul territorio il livello dello Stato periferico è rappresentato da alcuni dei migliori uomini delle istituzioni prefettizie, della magistratura e delle Forze dell’ordine.
Stato periferico, si è detto, perché quello centrale c’è assai poco. Il concetto è: vi mandiamo gli uomini migliori, ora vedetevela voi. Ma non è così che funziona. La situazione foggiana, peraltro, non può essere curabile solo con la repressione giudiziaria, perché occorre operare anche una radicale modifica della cultura della socialità. Quindi servirebbero modelli ottimali cui ispirarsi, donne e uomini in grado di dare l’esempio per stimolare i foggiani a mirare a un modo di pensare più alto, onde sperare in un futuro migliore.
Ma questo, come sempre, può e dovrebbe scaturire solo dalla buona politica nazionale e locale. Finora non si è visto quasi nulla, la battaglia la stiamo perdendo. Alzi la mano chi ha sentito proporre, in questa come nelle passate campagne elettorali, misure idonee a sconfiggere la criminalità mafiosa. Siamo stanchi di urlare controvento, di proporre zoliani j’accuse che restano sempre e comunque inascoltati. Diciamo la verità: usiamo le parole che davvero ci vogliono. E’ una vergogna.