di Giuliana Proietti

Gli ultimi giorni di dicembre sono in genere trascorsi ad analizzare le situazioni critiche affrontate e a stilare elenchi di nuovi propositi e stili di vita per l’anno che verrà. L’esperienza dimostra, tuttavia, che già verso la fine del mese di gennaio di ogni anno la maggior parte dei buoni propositi sono già svaniti nel nulla, affossati dalla routine, dall’apatia, dalla mancanza di tempo e da altri fattori esterni che hanno impedito alle persone di dare una reale sterzata alla propria vita.

Vorrei allora condividere qualche riflessione, basata sui dati di una ricerca condotta ad Harvard, secondo la quale molti adulti tendono abitualmente a sottovalutarsi nelle situazioni sociali, ritenendosi meno graditi e meno apprezzati di quanto poi gli altri realmente non pensino.

L’impatto di questa situazione è di vasta portata e influenza diversi comportamenti, fra i quali le scelte di cambiamento: ad esempio, se si pensa di essere benvoluti in ufficio, è molto probabile che ci si impegni di più nel lavoro, ci si sforzi nel sopportare il clima pesante dell’ufficio, si sia più propensi al lavoro di squadra, alla comunicazione efficace e alla ricerca di risultati migliori… Se si pensa, al contrario, di essere solo malamente sopportati dagli altri, questo non può che generare comportamenti di lassismo, indifferenza o ostilità.

Questa differenza fra il giudizio che ciascuno ha delle proprie azioni e conversazioni nelle relazioni sociali e il relativo giudizio altrui sulle medesime questioni è stato definito dai ricercatori “the liking gap” o “divario di gradimento”. Apparentemente il Liking Gap non dovrebbe influire più di tanto sulla nostra vita privata, sui nostri pensieri e sulle nostre motivazioni, ma in realtà non è così. Infatti, ogni nostra nuova decisione comporta frequentemente il doversi rapportare con persone e situazioni nuove, per cui alla fine si tende a non mettere in pratica i buoni propositi per una sotterranea paura di esporsi gratuitamente al giudizio degli altri, per qualcosa che non è strettamente necessario.

Potrebbe essere questa la vera motivazione per cui tutti i buoni propositi del fine anno sono inesorabilmente destinati al fallimento? Sono davvero i fattori esterni che ci impediscono di mettere in pratica quello che noi stessi avevamo programmato di fare, o è questa istintiva paura del giudizio altrui a frenarci ogni volta che dobbiamo intraprendere azioni che riteniamo utili, ma non strettamente indispensabili?

Quando pensiamo di essere giudicati male dagli altri, in realtà dovremmo sapere che non siamo davvero in grado di comprendere realmente cosa gli altri pensano di noi, in quanto ci mancano troppe informazioni, troppi elementi di analisi e di valutazione. Ciò che facciamo, inconsapevolmente, è riempire questi spazi vuoti con supposizioni che molto spesso sono errate e che sono inevitabilmente basate sulle nostre preoccupazioni.

Ma perché lo facciamo? Perché le persone passano più tempo a rimproverarsi per i loro passi falsi, invece che darsi delle metaforiche pacche sulle spalle per quello che hanno fatto e detto? Una possibile spiegazione è che concentrarsi sui fallimenti renda più facile evitarli successivamente nel tempo. Ad esempio, forse le persone che sperimentano percezioni negative all’inizio di una relazione si sentono più motivate a migliorare quella relazione, lavorando sodo per correggere i difetti che hanno notato nei propri comportamenti.

Eppure, dovremmo sapere che qualsiasi cosa ha un suo inizio, e non ne dovremmo essere spaventati: quelli che un tempo erano degli estranei sono poi diventati colleghi, amici e compagni di vita, e così è accaduto per qualsiasi altra situazione nuova ci sia capitato di affrontare.

Quello che manca dunque, ogni Capodanno, è il coraggio di lasciare la zona di comfort: tutti aspettano che accada qualcosa, che qualcun altro faccia qualcosa. Ecco perché non succede mai nulla, e i buoni propositi di fine anno scompaiono già prima che arrivi la Befana.

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