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Iran, 17enne ucciso da spari della polizia. Manifestanti denunciano: “Abusi sessuali durante gli arresti”

Mehrdad Malek, 17 anni, è stato ucciso nella provincia di Qazvin dopo un inseguimento degli agenti. La repressione del regime continua imperterrita sui civili, e i manifestanti nelle loro testimonianze parlano di stupri e abusi della polizia

Colpito a morte mentre viaggiava a bordo di un auto, come è successo anche a Saha Etebari, 12 anni, e Kian Pirfalak, 9. Il regime iraniano continua a uccidere: l’ultimo caso di cui i media sono venuti a conoscenza è quello di Mehrdad Malek, 17 anni, colpito a morte dagli spari esplosi da poliziotti ad Ardagh, nella provincia di Qazvin. Secondo quanto riferito da Bbc, i fatti risalgono al 5 dicembre: il giovane stava tornando a casa a bordo dell’auto di un amico, che è stata inseguita dalla polizia, ma quando la pattuglia è rimasta bloccata nel fango gli agenti avrebbero aperto il fuoco e il giovane sarebbe rimasto ucciso.

Le violenze in Iran proseguono imperterrite su civili, in particolare giovani. Per abuso delle autorità o per vendetta nella partecipazione alle proteste scoppiate già da oltre tre mesi per la morte di Mahsa Amini, la giovane curda fermata dalla polizia perché non portava correttamente il velo e morta mentre era in custodia. Gli stessi manifestanti hanno raccontato a Iran International gli abusi subiti in detenzione: uomini e donne costretti a denudarsi di fronte agli agenti, toccati sui genitali, minacciati di stupro e in alcuni casi, violentati.

Vittime di sesso maschile e femminile, tra cui alcuni di appena diciotto anni, hanno riferito che la violenza sessuale contro i manifestanti detenuti è piuttosto diffusa. Le loro storie “sono molto difficili da verificare a causa della paura delle vittime di rivelare informazioni personali e di ritorsioni contro di loro e le loro famiglie”, sottolinea Iran International.

Una delle vittime ha detto che lei e altri arrestati sono stati denudati di fronte agli ufficiali della guarnigione di Vali Asr a Teheran, palpeggiati nella zona genitale, spruzzati con acqua fredda e colpiti con taser per costringerli a rilasciare “confessioni” contro se stessi e gli altri. “Ci hanno minacciato di stupro“, ha raccontato la vittima, liberata su cauzione dopo venti giorni. “C’erano due agenti donne e due uomini nel furgone. L’uomo ci ha perquisito nel modo più disgustoso”, ha raccontato un’altra donna di Teheran.

Una vittima nella città di Mashhad, nel nord-est dell’Iran, ha detto che lei e altre undici persone sono state spogliate di fronte ad agenti e poi costrette ad accovacciarsi mentre gli ufficiali “ridevano”. Altre hanno riferito di essere state toccate durante l’arresto e gli interrogatori, e minacciate di stupro contro di loro o i loro familiari. E ci sono alcune segnalazioni di violenze molto peggiori: secondo quanto riferito, Armita Abbasi, una giovane donna di 20 anni, è stata violentata brutalmente dopo essere stata arrestata il 10 ottobre. È stata portata in un ospedale di Karaj il 18 ottobre dalle forze di sicurezza con ferite multiple tra cui emorragia interna, testa rasata e prove di stupro ripetuto. Gli episodi – riferisce Iran International – sono stati segnalati da centri di detenzione, prigioni e talvolta in luoghi al di fuori del sistema ufficiale come magazzini in diverse grandi città.