di Davide Gatto

A leggere il Regolamento dei Gruppi territoriali del Movimento 5 Stelle sono stato preso dalla tipica delusione di chi ha grandi aspettative, ma è costretto poi a constatare che esse sono state disattese.

Ho infatti accolto con un favore pieno di speranza il proposito pentastellato di disseminare nelle singole realtà locali cellule sane di attivismo civico e di partecipazione democratica. Non c’èè chi non veda, in fondo, che l’attuale crisi della democrazia dipende da due tipi di disconnessione: quella tra rappresentanti e rappresentati, certificata dal crescente astensionismo, e quella che sempre più allontana il cittadino dal suo territorio, abbandonato per l’improbabile terra promessa dei social.

Subdola, e dunque più insidiosa, è in particolare quest’ultima cesura perché i cittadini e le comunità di cui si occupa la politica non possono mai prescindere dallo spazio fisico su cui insistono, pena quella perdita effettiva di sovranità di cui spesso ci lamentiamo proprio sui social. Merito dei 5 Stelle, dunque, aver pensato a dei Gruppi territoriali per contrastare questi fenomeni, tanto più che anche il loro progetto originario di ripristinare in una piazza virtuale l’uguaglianza di fatto negata nella polis reale si è paradossalmente risolto ancora una volta nella migrazione sulla piattaforma Rousseau di cittadini più cittadini degli altri: una res publica sì, ma oligarchica e digitale.

Perché l’operazione di riconnessione tra cittadini e territorio da una parte, e tra eletti ed elettori dall’altra avesse successo sarebbe stato però necessario stimolare innanzitutto la libera e plurale circolazione delle idee, promuovere quella conoscenza senza la quale il popolo è ridotto a massa di manovra, in breve perseguire diffusamente le condizioni culturali necessarie per l’esercizio sostanziale della democrazia.

La ratio del Regolamento è invece chiaramente partitica ed elettoralistica, preoccupata solo di serrare i ranghi (“Ciascun Gruppo territoriale si conforma agli indirizzi politici ed all’unitaria attività politica del MoVimento 5 Stelle”, art. 2), di fare proselitismo (“persegue la partecipazione di un sempre maggior numero di cittadini”, art. 2, lettera e), di contenere la discussione delle idee entro la sfera politica e all’interno del gruppo concorde degli iscritti (“favorisce la discussione, il confronto e lo scambio di idee politiche tra tutti gli Iscritti”, art. 2, lettera a).

Preoccupazioni senza dubbio condivisibili, se si pensa alla sistematica campagna di delegittimazione contro il M5S. Ma ridurre i Gruppi territoriali a sedi di partito significa sprecare l’opportunità storica di dare una buona volta forma a dei cittadini invece che a degli elettori per un verso, per l’altro di elaborare quei capisaldi culturali di cui il M5S ancora difetta e che sono così cruciali: cosa ne sarebbe oggi del Pd, per intendersi, senza i suoi millantati padri, senza Marx, senza Gramsci, senza Berlinguer?

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