di Giuseppe Mammana

In queste ultime settimane, nelle strade della capitale, appaiono con sempre più frequenza sui muri della città e dentro ai parchi scritte per “Alfredo Cospito libero” e “no al 41bis”. Ma non soltanto, anche nei giornali, seppur in modo più timido, qualche personaggio pubblico prova a rompere il muro di omertà che aleggia su questo tema. Tra questi ricordiamo Zerocalcare (sempre molto sensibile ai temi sulle condizioni carcerarie), Patrizio Gonnella (associazione Antigone), Luigi Manconi, Adriano Sofri – che in alcuni articoli provano a denunciare quanto sta accadendo al detenuto anarchico rinchiuso nel carcere di Sassari.

Ma partiamo dall’inizio. Chi è Alfredo Cospito?

Alfredo è un anarchico condannato per l’attentato alla scuola allievi dei Carabinieri di Fossano nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2006. Un fatto di cronaca “irrilevante” nelle sue conseguenze: poiché gli esplosivi a basso potenziale all’interno della caserma non hanno provocato nessun morto e nessun ferito. Nel 2017, la Corte d’Assise di Torino smonta in parte l’impianto accusatorio condannando Alfredo Cospito a 20 anni e qualifica l’attentato come strage semplice. Ma nel 2022, la Cassazione accoglie la richiesta del Pubblico Ministero e il reato viene riqualificato come strage contro la sicurezza dello Stato. Nella sentenza di terzo grado il giudice di Cassazione decide di fare ricorso all’art.285 del Codice Penale, ovvero l’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”. Un articolo (che risale al codice fascista Rocco) che afferma come chiunque commetta un fatto volto ad attentare la sicurezza dello Stato è punibile con l’ergastolo.

Dopo questa sentenza, a maggio del 2022, Alfredo Cospito transita nel carcere sardo dal regime di alta sicurezza al 41-bis. Il provvedimento infligge un colpo mortale al detenuto, e per questo motivo per protestare contro la sua condizione detentiva l’anarchico comincia uno sciopero della fame che dura da più di 70 giorni. Nel frattempo, l’avvocato di Cospito fa ricorso (contro il 41-bis) al Tribunale di Sorveglianza, ma il 6 dicembre il giudice rigetta il provvedimento.

Ma perché questa sentenza fa discutere? E perché questa vicenda riguarda la tenuta democratica del paese?

In primo luogo, notiamo da parte della Cassazione un utilizzo strumentale e politico dell’art. 285, cui non si è fatto ricorso né negli attentati di Capaci né di Via D’Amelio, dove diverse tonnellate di tritolo fecero saltare autostrade e piazze e dove morirono due giudici e le loro scorte. In secondo luogo, preoccupa l’ampliamento del campo di applicazione del 41-bis (un provvedimento nato negli anni ’90 dopo la strage di Capaci per colpire i condannati mafiosi).

L’utilizzo di tale strumento, in questo caso, appare una forzatura giuridica a fronte dell’assenza del requisito oggettivo (il delitto di mafia). E da qui è evidente il “black-out giudiziario”: infatti, mentre la Corte d’Appello riconosceva l’assenza di legami con le organizzazioni operanti negli ultimi attentati, la Cassazione smentiva la sentenza affermando che Alfredo è il capo di un’organizzazione anarchica verticistica attualmente operante nel territorio. Una tesi del tutto discutibile: poiché parliamo di organizzazioni che operano in modo caotico e orizzontale spesso difficilmente identificabili in cellule collettive vere e proprie.

Ma non solo: il 41-bis mette in discussione l’art. 27 della Costituzione in cui si afferma che le pene dovrebbero tendere alla rieducazione. Così, mentre nel regime di alta sicurezza il detenuto non perde completamente i propri diritti – può comunicare con l’esterno, partecipare al dibattito con la sua area politica, scrivere e ricevere corrispondenza- con il 41-bis viene annullata la funzione rieducativa e messo il silenziatore ad Alfredo. Il detenuto con questa misura può avere una sola visita al mese (contro le sei di un detenuto normale) e solo dietro un vetro; la maggior parte del tempo (circa 22 ore al giorno) lo passa rinchiuso in cella; le ore d’aria sono ridotte a due da trascorrere in uno spazio di pochi metri quadrati e delimitato da muri alti che creano uno stato di vera e propria deprivazione sensoriale; la socialità è limitata ad un’ora al giorno con soli tre detenuti; le lettere verso l’esterno vengono trattenute, le corrispondenze vengono sequestrate e interrotte le comunicazioni con l’esterno.

Inoltre, quest’ultimo punto entra in contraddizione con la sentenza del 2017 della Corte Costituzionale, che non mette dei limiti per i detenuti al 41-bis di ricevere e tenere con sé delle pubblicazioni. Insomma, in un momento di “crisi carceraria” è importante tenere alta l’attenzione su questa questione. Basti pensare che secondo l’associazione Antigone al 1 novembre risultano 74 i suicidi (13 casi ogni 10.000 persone detenute) e circa 200 gli agenti penitenziari indagati per tortura.

Per questo è importante continuare a parlare di Alfredo Cospito e del 41-bis. Ma non soltanto: è arrivato il momento che tutte le istituzioni di questo paese prendano una posizione politica precisa. E’ imbarazzante il silenzio del corpo accademico di alcune università. A La Sapienza, gli studenti provano, da diverse settimane, a chiedere alla rettrice di prendere una posizione ufficiale, cosi come accaduto per Giulio Regeni. Ma la risposta è stata una netta chiusura da parte della rettrice e di tutto il corpo accademico (che continua ad ignorare il problema) insieme all’aumento consistente di forze di polizia agli eventi organizzati su Alfredo Cospito e sul 41-bis.

Nel frattempo, mentre la Corte d’appello di Torino accoglie la richiesta dell’avvocato di Cospito chiedendo alla Consulta la concessione delle attenuanti (che convertirebbero l’ergastolo ostativo in una pena fra i 21 e i 24 anni), non possiamo tralasciare le “voragini” a cui andiamo incontro e di cui tutti siamo corresponsabili.

Come afferma Zerocalcare nel suo fumetto su Alfredo: “Sono davvero i buoni quelli che riescono a vivere senza battere ciglio accanto ad una voragine di brutalità fisica e psicologica che inghiotte la vita di migliaia di persone?”.

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