La polizia boliviana ha arrestato Luis Fernando Camacho, governatore del dipartimento di Santa Cruz e tra i principali oppositori del governo socialista di Luis Arce. Dopo il blitz, intorno a mezzogiorno di mercoledì 28 dicembre, Camacho è stato trasferito in aereo nella capitale La Paz, dove ha scelto il silenzio in attesa dell’udienza cautelare, quando si deciderà se potrà difendersi nel processo ‘Golpe I’ in libertà o in detenzione preventiva. Le accuse? Terrorismo e cospirazione, per aver partecipato ai disordini che hanno determinato il colpo di stato del 2019, quando le violente proteste di piazza e le prese di posizione dei vertici di polizia e militari costrinsero il presidente rieletto Evo Morales a fuggire in Messico.
L’arresto di Camacho, figura di spicco della destra boliviana, ha provocato reazioni di segno opposto nel Paese sudamericano. Nella capitale una veglia pacifica ha ricordato i massacri di Senkata e Sacaba, dove decine di sostenitori di Morales furono uccisi proprio in quei giorni di novembre del 2019, quando le proteste scoppiate contro presunti brogli a favore di Morales stesso (mai davvero provati) portarono al governo l’autoproclamata presidente ad interim Jeanine Áñez (ora in carcere, condannata lo scorso giugno a dieci anni per inosservanza dei doveri e delibere contrarie alla Costituzione). Nel dipartimento di Santa Cruz, invece, l’area più ricca del Paese, sostenitori di Camacho hanno provocato disordini e violenze, dando fuoco alla procura e alla casa del ministro dei Lavori pubblici, Edgar Montaño, protestando contro quello che lo stesso Camacho – al momento in arresto nelle strutture della polizia di La Paz – ha definito un “sequestro irregolare”, i sostenitori del governatore ultraconservatore hanno dato vita a scontri con le forze dell’ordine in varie zone della città di Santa Cruz de la Sierra, incendiando anche veicoli della polizia, che è intervenuta usando gas lacrimogeni. Non solo: diversi manifestanti hanno fatto irruzione nei due aeroporti della città, motivo per il quale sono stati sospesi i voli La Paz-Santa Cruz.
“Sono orgoglioso di aver partecipato alla più grande battaglia nella storia della Bolivia, per la libertà e la democrazia”, ha dichiarato Camacho, che accusa la polizia di averlo “rapito in modo brutale”. “Non ho paura del carcere della dittatura. Difenderò sempre Santa Cruz e la Bolivia”, ha aggiunto sui social prima di comunicare alla procura che si difenderà “per iscritto, non credendo nella giustizia boliviana”. “Non è un sequestro né una persecuzione politica”, ha replicato il procuratore generale, secondo cui Camacho era a conoscenza delle accuse da ottobre, quando l’ordine di arresto è stato approvato da un giudice del tribunale penale nel rispetto dei “diritti e delle garanzie costituzionali”.
“Finalmente, dopo tre anni, Luis Fernando Camacho risponderà del golpe che ha portato a rapine, persecuzioni, arresti e massacri del governo de facto”, ha commentato sui social Evo Morales, che dopo l’esilio in Messico si trasferì da rifugiato in Argentina, facendo rientro in patria il 9 novembre 2020. Subito dopo l’insediamento di Arce, ex ministro dell’Economia e delle Finanze proprio del governo Morales e considerato il delfino dell’ex presidente cocalero. Camacho, leader di Creemos e sin da giovane impegnato con l’estrema destra (dal gruppo paramilitare dell’Unión juvenil Cruceñista al Comitato civico di Santa Cruz), nei mesi scorsi è stato accusato di aver fomentato le violenze e i blocchi stradali per oltre un mese a Santa Cruz, per chiedere al governo di anticipare il censimento della popolazione al 2023 (un anno prima). Richiesta respinta dal governo del Mas (Movimiento al socialismo). La magistratura boliviana ha chiesto sei mesi di carcere preventivo Luis Camacho.