Dall’oro nero a quello verde. Il Gabon ha un piano innovativo per proteggere le foreste e trasformarle nel motore della sua transizione verso un’economia più stabile e più sostenibile. Conosciuto come l’Eden dell’Africa, lo Stato sul fiume Congo accoglie diversi degli animali più iconici e a rischio del continente, come gli elefanti e i gorilla. Il Gabon è però anche uno dei maggiori produttori di petrolio, che per decenni ha sostenuto il mercato del lavoro locale. Con i pozzi in esaurimento, il presidente Ali Bongo vuole affidarsi ad un’altra risorsa: la foresta pluviale.
Negli ultimi tempi ha approvato leggi rigide contro il disboscamento, ha vietato le esportazioni di legname (soprattutto in Francia), e ha concesso benefici fiscali alle industrie e ai mobilifici che lo utilizzano in maniera non impattante. Per finanziare questa strategia ha programmato la vendita di 200 milioni di dollari di obbligazioni green.
Il Gabon non ha però ancora un percorso definito per abbandonare completamente la dipendenza dal fossile. Il settore del legname però è in crescita e i risultati si vedono anche sulla biodiversità: gli elefanti nel 2021 hanno toccato i 95mila esemplari, in netto aumento rispetto ai 60mila del 1990. Tanto che altri Stati africani, come la vicina Repubblica Democratica del Congo, da anni al centro delle polemiche per la deforestazione, stanno pensando di seguire l’esempio gabonese.
Grazie alla sua popolazione di poco più di 2 milioni di persone e alla sua superficie coperta per il 90% da alberi, il Gabon è il “laboratorio a cielo aperto” ideale per la transizione verde. Il primo a pianificare delle strategie di conservazione della biodiversità è stato l’ex presidente Omar Bongo, che ha creato 13 parchi nazionali che coprono il 10% della nazione. Travolto dagli scandali sulla corruzione, è morto nel 2009. Così è toccato al figlio Ali iniziare a fare i conti con il graduale esaurimento dei giacimenti petroliferi.
Le nuove regole per la tutela della foresta pluviale limitano il disboscamento a soli 2 alberi per ettaro ogni 25 anni. Inoltre ogni tronco è registrato tramite un codice a barre. Il governo ha anche istituito una stazione di ricerca satellitare per creare un database delle aree più degradate. Una parte è stata assegnata alle coltivazioni industriali, come quella di olio di palma, ma più della metà è stata restituita alla foresta. Una divisione certificata come Carbon neutral dagli organismi internazionali competenti. Grazie alle agevolazioni fiscali concesse ai mobilifici sostenibili, la lavorazione del legno e la produzione di compensato stanno diventando un settore sempre più importante dell’economia locale.
Al momento l’industria del legno fornisce circa 30mila posti di lavoro (il 7% della forza lavoro totale), 6mila di questi nel comparto dei mobili sostenibili. Si tratta però di una cifra destinata a crescere. Diversi Paesi del bacino del fiume Congo, dipendenti dall’estrazione di combustibili fossili, stanno guardando all’esempio del Gabon. Alcuni hanno vietato l’esportazione di legname grezzo nel 2023 e almeno due stanno progettando complessi industriali di legname sostenibile. Tra questi anche la Repubblica Democratica del Congo, lo Stato con la più vasta foresta pluviale secolare al mondo dopo l’Amazzonia a rischio a causa della deforestazione e dell’estrazione di petrolio.
I critici però considerano gli obiettivi del Gabon troppo ambiziosi per un Paese dove mancano le strade, anche in alcune delle aree più popolate. Alcuni nutrono dei dubbi anche sulla quantità e sul prezzo troppo basso imposto dallo Stato alle sue obbligazioni verdi, che rischia di inceppare il mercato dei crediti di carbonio. Il 38,5% dell’economia del Gabon, secondo il Fondo monetario internazionale, è sostenuto dal petrolio. Entro il 2025, il Paese mira a ridurre la quota al 20%. Nel frattempo però ha in programma di aumentare le trivellazioni e anche l’estrazione di gas, che distruggono aree naturali e disturbano gli animali.