Il pensiero unico dello sci poggia sua due argomentazioni principali, alle quali qui vorrei suggerire dei contro-argomenti.
La prima argomentazione è riassunta bene in queste righe, simili a molte altre che sentiamo ripetere: gli alberghi, i ristoranti, i bar, i negozi, supermercati, ecc, ecc cosa dovrebbero fare se chiudono “tutti” gli impianti a fune e scompare lo sci da pista? Vivere con quello che arriverebbe dal turismo alternativo?
In realtà, nel panorama delle posizioni attente all’ambiente e al tessuto sociale delle montagne, nessuno parla di chiudere “tutti” gli impianti: in discussione sono solo le stazioni che da anni vivono di sussidi pubblici. Il Piemonte investe 800mila euro in nuovi cannoni da neve per Rucas e Pontechianale, quando – giusto per dare le proporzioni – l’investimento pubblico per la manutenzione dei sentieri di tutta Italia (35mila km) è stato nel 2022 di 600mila euro (coadiuvato dalle migliaia di volontari del Cai).
Le economie cambiano e bisogna adattarsi. È come dire che quando è arrivata la fotografia digitale i negozi di sviluppo rullini avrebbero dovuto resistere per dar lavoro ai commessi e tener vivo il quartiere. È necessario assistere le transizioni, che sono sempre dolorose, ma gli investimenti dovrebbero guardare al futuro. Si veda il crescente successo della Val Pelline, la Valpellice, la Val Maira… Si veda la storia del Dobratsch, in Carinzia.
La seconda argomentazione è quella che ho sentito dal presidente di Funivie Folgarida Marilleva Spa Sergio Collini. Da loro gli affari vanno a gonfie vele grazie alla massa di stranieri, soprattutto polacchi, tanto che spingono per ampliare il comprensorio, già per altro vastissimo. All’Assemblea degli azionisti (3-9-2022) Collini ha dichiarato: “L’ampliamento del demanio consentirebbe di costruire una proposta neve più competitiva“. E ancora: “Non si può fermare uno sviluppo economico e turistico che ha tolto dalla povertà le nostre valli”.
Siccome lo sci “ci ha tolto dalla povertà” non bisognerebbe avere limiti nella costruzione di nuovi impianti, distruggendo con cemento, bacini artificiali, strade, parcheggi – perché questo è – un paesaggio di grande pregio naturale e culturale. La tesi di Collini è che l’indigente posto di fronte a un buffet può mangiare a piacimento: può mangiare perché, avendo patito la fame, non potrà mai avere un’indigestione.
Finanziamo la conversione delle stazioni morenti e preserviamo il paesaggio montano da nuovi impianti. Questa dovrebbe essere la linea da seguire.