Il governo ha fatto retromarcia sul pos, ma sui condoni fiscali in manovra è incrollabile: non ci sono. Questa, almeno, è la versione ribadita ancora una volta dalla premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di fine anno. “Non ci sono condoni nella legge di Bilancio, c’è una norma che chiede a tutti di pagare il dovuto, consentendo una rateizzazione“, ha sostenuto la leader di Fratelli d’Italia. “Le uniche cartelle che abbiamo stralciato sono quelle vecchie di sette anni e sotto i mille euro, ma banalmente perché questo conviene allo Stato, perché è più costoso riscuoterle”. Un refrain ripetuto in più occasioni da diversi componenti dell’esecutivo, ma smentito dai numeri contenuti nella Relazione tecnica del provvedimento stesso. Lo stralcio aprirà un buco da quasi 600 milioni nelle casse dello Stato nonostante all’ultimo minuto siano state escluse le cartelle derivanti da multe non pagate (su cui decideranno i Comuni). La versione definitiva delle dieci misure di “pace fiscale” – che salgono a dodici contando anche lo spalma debiti delle società sportive e la regolarizzazione delle criptovalute – ridurrà le entrate di almeno 3,5 miliardi (1,4 al netto dei maggiori introiti) nei prossimi nove anni. Senza contare il probabile effetto collaterale evidenziato da Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio: convincere molti contribuenti che “sottrarsi al pagamento dei tributi possa essere notevolmente vantaggioso“.
Lo stralcio costa 600 milioni – Come ilfattoquotidiano.it aveva raccontato già il 28 novembre, la versione iniziale della manovra – quella approvata dal consiglio dei ministri il 21 – quantificava in 3,6 miliardi la perdita complessiva per l’erario. Un ammanco compensato solo in parte (1,9 miliardi) dai maggiori introiti attesi dal “ravvedimento speciale” e dalla definizione agevolata delle controversie tributarie in ogni grado di giudizio. Il costo netto per collettività risultava quindi pari a 1,7 miliardi. Nel corso dell’iter parlamentare, il 18 dicembre, il governo ha poi fatto alcune modifiche via emendamento: i debiti con il fisco inferiori a 1000 euro saranno annullati al 31 marzo 2023 e non al 31 gennaio ma soprattutto i Comuni – che paventavano un maxi buco nei loro bilanci – potranno decidere autonomamente se applicare o meno la norma. Che comunque, per quanto riguarda le multe, si applicherà solo a sanzioni e interessi di mora e non al capitale e al rimborso delle spese per le procedure esecutive. Questo riduce di un po’ il conto finale, che scende (solo per lo stralcio) a 592 milioni. Sempre che i sindaci non consentano di condonare anche le contravvenzioni stradali, ovviamente. In ogni caso è falsa l’affermazione della premier secondo cui sarebbe “più costoso” riscuotere queste cifre: molti contribuenti che l’anno prossimo si vedranno abbuonare il debito lo stavano pagando a rate. Solo l’anno prossimo, evitando lo stralcio, si sarebbero incassati per quella via 127,9 milioni.
La nuova rateizzazione fa perdere 1,3 miliardi, la definizione degli avvisi bonari 1,6 – Poi ci sono tutti gli altri interventi di “pace fiscale”. La nuova rateizzazione – con abbuono degli interessi e dell’aggio – delle cartelle sopra i 1000 euro affidate all’agente della riscossione tra 2000 e 30 giugno 2022, quindi anche recentissime, farà perdere all’erario 913 milioni solo il primo anno, che salgono a 1,3 considerando il periodo 2023-2032. La definizione agevolata delle somme dovute in base agli “avvisi bonari” inviati dopo il controllo automatico delle dichiarazioni del 2020, 2021 e 2022, che riduce al 3% le sanzioni per chi ha commesso irregolarità e consente di pagare a rate in cinque anni, farà perdere ben 1,6 miliardi di cui 386,9 solo nel 2023. L’intervento è stato giustificato con la necessità di aiutare chi è in difficoltà a causa di pandemia e caro energia, ma il governo ha ignorato gli emendamenti delle opposizioni che lo sfidavano a subordinare il beneficio a una verifica delle condizioni economiche del contribuente.
Ravvedimenti speciali e chiusura delle controversie – Il ravvedimento speciale delle violazioni tributarie attraverso il pagamento in due anni di “un diciottesimo del minimo edittale delle sanzioni”, oltre ad imposta e interessi dovuti, determina poi nel 2023 una perdita di 119,6 milioni che solo negli anni successivi viene compensata con un effetto netto positivo per 843,8 milioni. Aumentano il gettito anche la definizione agevolata delle controverse tributarie pagando una percentuale del dovuto variabile a seconda dello stato del giudizio (+1,1 miliardi totali) e la rinuncia agevolata ai giudizi tributari in Cassazione (+165 milioni). Facendo le somme, le perdite secche arrivano a quota 3,49 miliardi in nove anni a fronte di 2,1 miliardi di versamenti da regolarizzazioni. Lo Stato ci perde 1,39 miliardi netti.